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Mauro Venegoni
Dario Venegoni, nipote di Mauro e figlio di Carlo, lo scorso ottobre 2014 in occasione della commemorazione della morte di Mauro Venegoni ha commentato: «Mi sorprende sempre vedere così tanta gente presente a questa cerimonia; il motivo lo vedo nella modernità della figura di Mauro, dotata di una morale eccezionale di combattente integerrimo non disponibile a compromessi che gli ha conferito quest’aurea di leggenda». «Possiamo - ha sottolineato il sindaco di Legnano Alberto Centinaio - senza dubbio alcuno, indicarlo ad esempio e modello di vita per tutti noi, soprattutto per le nuove generazioni».
Ma perché Mauro Venegoni è una leggenda, un esempio?
Legnano, 9 settembre 1943. E’ mattina e alla fabbrica metalmeccanica della Franco Tosi entrano due ex-operai, Mauro Venegoni ed il fratello Carlo, il quale fa un comizio di un paio di minuti soltanto incitando le maestranze a lottare contro i fascisti e contro l’occupante tedesco. Poi i due si danno alla clandestinità. La sera dell’8 settembre, con l’annuncio radiofonico dell’armistizio, si fa partire convenzionalmente l’inizio della Resistenza e uno dei primi atti, a livello nazionale, è proprio questo di Legnano, dei fratelli Venegoni.
Una famiglia operaia povera
Carlo, secondogenito di Paolo e Angela Stefanetti, era nato a Legnano nel 1902 e Mauro l’anno successivo. Vi erano poi due sorelle, Maria e Gina, ed altri due fratelli, Pierino nato nel 1908 e Guido nel 1919. Una famiglia operaia povera dove i bambini appena terminate le scuole elementari a dodici anni entravano in fabbrica come operai, trattati esattamente come gli adulti con gli stessi carichi di lavoro e turni anche notturni ma con una paga dimezzata a causa dell’età. Carlo e Mauro erano molto intelligenti e avrebbero desiderato studiare, invece andarono a lavorare Carlo al Cotonificio Cantoni e tre anni dopo alla Franco Tosi, Mauro subito alla Tosi.
Affascinati dal comunismo
Il 1° maggio 1917 è una data che ha cambiato loro la vita: Carlo e Mauro partecipano ad un comizio socialista. Ricorda Dario Venegoni «il segretario della Camera del Lavoro legnanese, un certo Montanari, parla di quello che sta avvenendo in Russia, dice che là i lavoratori hanno abbattuto lo Zar, e che anche qui è ora che gli operai divengano padroni del proprio destino. Deve essere un grande oratore, quel Montanari, perché i due fratelli ne sono rapiti. Cominciano a leggere la stampa socialista, a studiare, a organizzare il circolo giovanile, e raggruppano in poco tempo centinaia di giovani operai come loro. L’impegno politico è una scelta per la vita, per dare una speranza, un senso alla propria esistenza e per cambiare il destino di quelli come loro. Il resto, si potrebbe quasi dire, è conseguenza di quella scelta fatta da ragazzi». Attivisti sindacali e politici anche in fabbrica, i due fratelli sono alla guida dei grandi scioperi del settembre 1920 nel legnanese. Alla scissione del Partito Comunista dal Socialista con il Congresso di Livorno del gennaio 1921 i Venegoni passano al Partito Comunista e con loro una novantina dei cento iscritti legnanesi al Partito Socialista.
Il regime fascista non poteva certo vedere di buon occhio la loro attività e per Carlo e Mauro, ma poi anche per Pierino, si apriranno le porte del carcere e dei luoghi di confino. Carlo finirà a Portolongone e, dopo essere tornato in libertà ma “sorvegliato speciale”, all’entrata in guerra verrà nuovamente arrestato e confinato a Colfiorito. Poi, malato di tubercolosi, verrà inviato al sanatorio Regina Elena di Legnano, la struttura che sorge nell’ex-parco Ila in via Colli di Sant’Erasmo, da cui si è “liberamente allontanato”, cioè è scappato, il 25 luglio 1943 in occasione della caduta del governo fascista.
Mauro comunista internazionalista
Mauro dopo quindici mesi di carcere preventivo per ricostituzione di Partito Comunista riuscì nel 1930 ad emigrare clandestinamente in Francia, trovando lavoro alla Citroen e mettendosi, anche qui, alla testa dei grandi scioperi. Mauro andò anche a Mosca e considerò sempre quel periodo di intenso studio come “la sua università”. Rientrato in Francia e poi in Calabria, Mauro venne nuovamente arrestato e condannato a cinque anni di carcere. Carlo e Mauro non avevano potuto studiare a scuola ma in carcere e al confino studiarono filosofia, economia, lingue: Carlo sosteneva che quella era stata “la sua università”. Il 10 giugno 1940 con l’entrata in guerra dell’Italia, Mauro viene nuovamente arrestato e inviato al confino a Istonio Marina e poi alle Tremiti, per punizione in quanto aveva organizzato un comitato clandestino di resistenza interna al lager. Con un certo ritardo il nuovo governo, dopo la caduta di Mussolini, rilasciò i prigionieri politici e anche Mauro raggiunse Legnano.
Mauro e Carlo: protagonisti della Resistenza
E il 9 settembre 1943 Carlo e Mauro alla Franco Tosi inauguravano insieme un modo diverso di essere antifascista, un’attività intensissima non solo a Legnano ma in tutta la Valle Olona, insieme ai fratelli Pierino e Guido, in collaborazione con i partigiani di altre formazioni, con i cattolici, con i partigiani di montagna. «Tra i due fratelli, così uniti, così vicini eppure così diversi, era Mauro l’uomo d’azione – afferma Dario Venegoni - Se il gruppo antifascista che si raccolse nel Legnanese attorno ai fratelli Venegoni fu così numeroso e compatto, lo si dovette all’esperienza, alla prudenza, alla determinazione di Carlo ma in misura non inferiore all’esempio trascinatore dell’ardimento, del coraggio, della temeraria ostinazione di Mauro. … Un capo partigiano che non si fermava davanti a nessun ostacolo, sempre in prima linea, anche quando forse avrebbe potuto stare più riparato».
Mauro non era solo un combattente, Mauro dissentiva dalla gestione del potere in Urss sostenendo con forza che “se mancava l’umanità non si potevano guidare i popoli” e Mauro aveva umanità, aveva un cuore grande che lo portava a rischiare la vita per esempio per onorare due ragazzi morti in uno scontro a fuoco, Dino Garavaglia e Renzo Vignati, presenziando camuffato, tra la folla, al loro funerale a Legnano. Per portare in salvo un compagno gravemente ferito, come Samuele Turconi, comandante della legnanese 101^ Brigata Garibaldi GAP e piantonato all’ospedale di Busto Arsizio in attesa della fucilazione. Per vendicare la morte dei quindici partigiani fucilati a Milano in piazzale Loreto il 10 agosto 1944: non li conosceva personalmente ma non riusciva a tollerare di non reagire alla strage e Carlo ha faticato non poco a trattenerlo da quello che sarebbe stato un sicuro suicidio. «Un litigio – ricorda Dario Venegoni – che andò avanti per una notte intera, nell’appartamento di una vecchia casa in via Larga, che i due fratelli utilizzavano come base milanese. … Mauro insisteva nel sostenere che bisognava fare qualcosa, per replicare immediatamente a quell’orrore. L’idea era semplice e pazzesca insieme: “Ci nascondiamo dietro la palizzata – diceva Mauro – e quando i fascisti vengono con un camion noi gli diamo addosso. Abbiamo anche un paio di bombe a mano, gliela facciamo pagare. Lo possiamo fare anche noi due da soli”. “Noi due!” esclamava mio padre, incredulo di fronte a quel piano, anche a decenni di distanza. “In mezzo a decine di fascisti, con due pistole e anche due bombe a mano!” Tutta la notte durò la discussione tra i fratelli, con mio padre che cercava di dimostrare che il piano era irrealizzabile. … Ma Mauro sembrava irrevocabilmente determinato a condurre l’azione, a rispondere all’eccidio immediatamente. “Insomma se non ti va lo faccio da solo” disse a un certo punto». Dopo una lunga discussione i due fratelli faranno infine una scelta differente: stamperanno in migliaia di copie e diffonderanno un volantino che denuncia la strage nazi-fascista.
L'aneddoto mostra chiaramente la passione politica di Mauro e una forte volontà dettata dall'antifascismo di matrice comunista. Normalmente era un uomo freddo e razionale che sapeva ben valutare ciò che si poteva fare sulla base delle condizioni di clandestinità in cui operavano i due fratelli.
Lasciato solo
Milano, corso Buenos Aires 1, 29 ottobre 1944. Carlo, nuovamente arrestato, è da poco riuscito a fuggire dal lager di Bolzano Greis organizzandosi lui stesso la fuga con l’aiuto di alcuni compagni di Legnano. Mauro è comandante militare partigiano di una Brigata Garibaldi nel vimercatese. I due fratelli riescono a vedersi nel recapito di Mauro in corso Buenos Aires e in quell’occasione Mauro si lamenta dell’isolamento in cui lo sta relegando il Partito Comunista di Togliatti, da cui era stato espulso all’epoca del confino alle Tremiti e mai più riammesso: «Mauro era esasperato - racconterà poi Carlo - l’ho visto in uno stato di esasperazione tale da non saper più connettere». Mentre sono insieme arriva la notizia che è stato arrestato un compagno che conosce il recapito di Mauro e la prudenza vuole che si fugga il prima possibile. Mauro decide di portarsi verso Legnano, verso la Valle Olona dove ha parecchi compagni.
L'arresto e la morte
Busto Arsizio, 30 ottobre 1944. Mauro viene casualmente fermato dalle Brigate Nere a Busto, ha con sé documenti falsi e non viene riconosciuto ma, come spesso accadeva, i brigatisti lo interrogano e torturano per ottenere informazioni generali. A un certo punto un fascista lo riconosce: non è un qualunque Mario Raimondi ma è il famoso Venegoni che cercano da tempo, che sicuramente è al corrente di come sono composte le Brigate Garibaldi, di dove si trovano i loro comandanti, di dove è nascosto il fratello Carlo. Mauro non ha più scampo, corrono brigatisti fin da fuori Busto, viene torturato e mutilato, sul suo corpo ferite e lesioni di ogni genere. Mauro non dice una parola. “Vermi,” urla loro, “voi avete rovinato l’Italia!”. Mauro, sottolinea Dario Venegoni, «era il capo che proteggeva i propri uomini. E fu anche il torturato che si fece strappare gli occhi e rompere le ossa, ma non disse nulla che potesse aiutare i carnefici a rintracciare suo fratello o i suoi compagni».
La notte del 31 ottobre lo caricheranno su una lunga automobile nera, lo scaraventeranno moribondo lungo la strada per Cassano Magnago e lo finiranno con due colpi d’arma da fuoco alla nuca. Proprio là dove ora sorge il cippo in sua memoria. I giornali riporteranno la notizia di uno sconosciuto ucciso da non si sa chi con due colpi d’arma da fuoco. Verrà sepolto frettolosamente ma la vedova otterrà la riesumazione del cadavere e lo riconoscerà.
A Mauro verrà conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.
«Non erano quattro matti, i fratelli Venegoni – puntualizza Dario - Era la loro generazione, semmai, che era una generazione di matti: nel senso di una generazione pronta praticamente a tutto per ribaltare un mondo che consideravano ingiusto e intollerabile. È quella generazione di matti che ha portato nel mondo del lavoro i diritti che ora vengono difesi con tanta determinazione».
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