giovedì 3 dicembre 2015

E' morto Lonati, il "giustiziere" di Mussolini

http://www.legnanonews.com/news/1/53393/e_morto_lonati_il_giustiziere_di_mussolini

E' morto Lonati, il "giustiziere" di Mussolini


Ieri, sabato 14 novembre 2015, si è spento nella sua casa di Milano il partigiano Bruno Giovanni Lonati.

Lonati (nato a Legnano, classe 1921) fu figura di spicco nella Resistenza in Valle Olona e a Milano con il nome di battaglia di ”Giacomo”. In anni recenti Lonati si è assunta la responsabilità di aver fucilato Mussolini.
La sezione Anpi di Legnano rende omaggio al partigiano combattente ed esprime cordoglio alla famiglia.
Bruno Giovanni Lonati dal 1936 al 1956 ha lavorato alla Franco Tosi; in questo periodo sono compresi il servizio militare e la successiva attività partigiana, seguita sino al febbraio del 1946 da quella politica e sindacale. Trasferitosi a Torino nel 1958, ha poi ricoperto incarichi dirigenziali alla Fiat. Dopo il 1980 ha diretto a Bari un’importante società metalmeccanica; è stato poi consulente industriale e ha scritto diversi libri di carattere tecnico.

- Per conoscere meglio Lonati e in particolare le circostanze in cui sarebbe avvenuta l'esecuzione di Mussolini:


L’attentato al “Mantegazza” e il novembre di fuoco del ‘44 a Legnano

http://www.legnanonews.com/news/1/53029/l_attentato_al_mantegazza_e_il_novembre_di_fuoco_del_44_a_legnano

L’attentato al “Mantegazza” e il novembre di fuoco del ‘44 a Legnano


Tra le azioni più clamorose della Resistenza a Legnano c’è l’attentato all’albergo “Mantegazza” del 4 novembre 1944. E’ un episodio importante ma probabilmente poco o nulla conosciuto nella nostra città.
L’albergo-ristorante era situato al numero 18 del corso Vittorio Emanuele, ovvero tra il Monumento ad Alberto da Giussano e la stazione ferroviaria. Oggi al posto del vecchio albergo c’è una recente costruzione.
Il “Mantegazza” era diventato da tempo luogo di ritrovo di militari tedeschi, brigatisti neri ma non si può escludere anche di gente comune vista la prossimità alla stazione ferroviaria. Il giorno prescelto garantiva la presenza nel locale di molte persone perché si festeggiava l’anniversario della Vittoria italiana nella Grande Guerra.
Poco prima delle ore 21 del 4 novembre fu collocato da alcuni partigiani dei GAP un potente ordigno esplosivo sul davanzale della finestra con corta miccia. L’esplosione fu violentissima e si sentì in ogni punto della città.
Il bilancio delle vittime fu grave: morirono l’ingegner Hans Kasten, tecnico presso la Franco Tosi, un ufficiale tedesco, il legnanese Carlo Colombo (una spia secondo i partigiani). Il brigatista Renzo Montoli perse la vista e morì pochi giorni dopo. Numerosi furono i feriti. Il locale seriamente danneggiato.
La decisione dell’attentato fu presa all’interno della 101esima GAP di Legnano in accordo con il CLN di Milano.
Quali furono gli obiettivi dell’azione militare? Non è facile oggi districare la matassa.
Uno dei motivi era la notorietà del “Mantegazza” quale locale pubblico frequentato da tedeschi e fascisti. In città si raccontavano, con esplicita disapprovazione, di feste e festini che si prolungavano nella notte con consumo di bevande alcoliche e alimenti che nel resto della città erano introvabili.
Non si può escludere (altra ipotesi) che l’attentato sia stato anche una vendetta per la barbara uccisione di Mauro Venegoni avvenuta il 31 ottobre a Cassano Magnago.
Mauro Venegoni con il fratello Carlo erano tra i fondatori della Resistenza armata nella Valle Olona. L’assassinio di Mauro richiedeva un’immediata risposta politico-militare per dimostrare che la Resistenza non era morta, anzi proseguiva con la propria strategia volta a portare la guerriglia e il terrore in città.
Probabilmente ci furono discussioni e divisioni all’interno del gruppo dirigente legnanese perchè la reazione delle autorità tedesche poteva rivelarsi pericolosa e nel locale, nel momento dell’attentato, potevano esserci avventori che non c’entravano nulla con tedeschi e fascisti. Prevalsero alla fine i fautori dell’attentato.
Un’altra ipotesi dell’attentato, che non cancella la seconda, è una risposta del partigianato legnanese a numerosi arresti tra i comunisti della 101esima SAP (fine ottobre-inizio novembre) tra i quali alcuni capi come Filippo Zaffaroni. Questi arresti, avvenuti anche fuori Legnano, avevano profondamente indebolito la formazione partigiana.
Gli attentatori: Samuele Turconi e Francesca Mainini
Il diretto autore dell’attentato fu il partigiano legnanese Samuele Turconi con l’appoggio di un paio di donne che avrebbero dovuto portare l’esplosivo in prossimità del “Mantegazza”. Le donne con le borse della spesa potevano, con un buon margine di successo, nascondere armi o esplosivo.
Sentiamo dalle parole di Samuele Turconi come andarono le cose.
- Intervista a Samuele Turconi: https://youtu.be/CF9eGBqQjiw
Turconi giustifica l’azione del “Mantegazza” come obiettivo politico (“covo di fascisti”) e come vendetta per l’omicidio di Venegoni. Quasi sicuramente l’attentato era stato deciso già a ottobre: la morte di Venegoni e gli arresti dei partigiani accelerano i preparativi e permettono di dare un maggiore risalto all’azione militare.
Una delle due donne che portarono l’esplosivo fu Francesca Mainini. Ascoltiamo anche quanto raccontò in un’intervista di una decina di anni fa.
- Intervista a Francesca Mainini: https://youtu.be/ErJ4u1hr344
L'altra donna era Alba Lonati, moglie di Bruno Giovanni Lonati. La temuta reazione tedesca e fascista non ci fu. Furono fermati alcuni uomini della Resistenza cattolica come Anacleto Tenconi (poi primo sindaco nella Legnano liberata), don Carlo Riva e Neutralio Frascoli. Altre persone furono arrestate, detenute come ostaggi e probabilmente torturate nella sede dell’Ufficio Politico Investigativo insediato nel vecchio “circolo dei signori” in via Alberto da Giussano (oggi c’è il Bingo).
Il Comune di Legnano fu pesantemente multato, il coprifuoco fu allungato ma nessuna vendetta né in città né nel carcere di San Vittore tra i detenuti della sezione politica.
Samuele Turconi rimase a Legnano fino alla fine di novembre nonostante il suo nome fosse indicato come l’autore dell’attentato. Nei giorni successivi sulla sua testa fu posta una taglia. Nonostante il pericolo di arresto e condanna a morte Turconi fu autore nei giorni immediatamente successivi di alcuni attentati ai treni.
Novembre di fuoco
Con l’attentato al Mantegazza non finirono le operazioni militari della Resistenza a Legnano e zona, anzi potremmo dire che ebbero un’intensificazione:
- 4 novembre, è arrestato con altri Filippo Zaffaroni (“pericoloso bandito” secondo i fascisti), in realtà autorevole capo partigiano della zona
- 5 novembre, disarmo di un milite della Guardia Repubblicana
- 5 novembre, è arrestato a Milano il legnanese Luigi Mazza. Deportato a Bolzano e Mauthausen morirà a Gusen nel marzo del ‘45
- 6 novembre, sabotaggio lungo la linea Milano-Domodossola, a Canegrate, con conseguente blocco della circolazione per alcune ore
- 6-7 novembre, il partigiano Bruno Lonati riesce appena in tempo a fuggire dalla sua abitazione prima dell’arrivo dei fascisti
- 7 novembre, alcuni partigiani assaltano un posto di blocco (incrocio Sempione-Cadorna), uccidono un militare e un altro è ferito. Nell’azione è ucciso il partigiano Enrico Rondanini di Nerviano
- 9 novembre, due antifascisti, Giovanni Rovellini e Serafino Roveda, sono fermati a Legnano e uccisi a botte sul ponte della Gabinella
- 10 novembre, tre bombe bloccano il traffico ferroviario a Canegrate. Azione coordinata da Turconi
- 11 novembre, è arrestato Guido Venegoni, fratello di Mauro. La fucilazione prevista in piazza San Magno non ha luogo
- 13 novembre, attentato a Rescaldina lungo la linea ferroviaria delle Nord
- 14 novembre, due bombe lungo i binari bloccano il traffico ferroviario a Castellanza. Di nuovo è Turconi il responsabile
- 14 novembre, in via Garibaldi due militari della GNR sono feriti
- 16 novembre, una ventina di garibaldini tentano un attacco alla caserma della GNR di via dei Mille. Ne nasce un furioso conflitto a fuoco, anche con lancio di bombe a mano, ma il colpo non riesce. Nessuna vittima
- 21 novembre, attacco partigiano a un posto di blocco alla Canazza che si conclude con la morte di un partigiano
- 29 novembre, sei uomini della GNR partono da Legnano verso Momo (oltre Oleggio) per effettuare un rastrellamento. I cadaveri sono ritrovati venti giorni dopo nella zona. Tre di loro erano cittadini legnanesi: Giuseppe Clementi, Augusto Almasio e Luigi Vignati
- fine novembre, tentativo andato a vuoto di sottrarre armi e munizioni dalla caserma di via dei Mille da parte dei partigiani della “Carroccio” (cattolici) contando su una collaborazione interna
I mesi successivi non sarebbero stati meno tesi fino all’esplosione delle forze resistenziali nella tumultuosa primavera del ’45.
Giancarlo Restelli e Renata Pasquetto

-Dedicato a tutti i partigiani di Legnano e della Valle Olona:
Molte notizie, nomi e date, le abbiamo trovate in “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945” di Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti e Alberto Centinaio, pp. 254-58. Ringraziamo gli autori
Luigi Borgomaneri, “Due inverni, un’estate e una rossa primavera”, p. 182
“Marciavamo con l’anima in spalla”, documentario dell’Anpi di Legnano a cura di Nicoletta Bigatti, dal quale abbiamo tratto le interviste audio
Giorgio D’Ilario (a cura di), “Legnano e la Resistenza”, pp. 48-50
“Legnano nella Resistenza” a cura di Giorgio D’Ilario e Giuseppe Bruno, pp. 70-71

Mauro Venegoni

http://www.legnanonews.com/news/2/52723/

Mauro Venegoni


Dario Venegoni, nipote di Mauro e figlio di Carlo, lo scorso ottobre 2014 in occasione della commemorazione della morte di Mauro Venegoni ha commentato: «Mi sorprende sempre vedere così tanta gente presente a questa cerimonia; il motivo lo vedo nella modernità della figura di Mauro, dotata di una morale eccezionale di combattente integerrimo non disponibile a compromessi che gli ha conferito quest’aurea di leggenda». «Possiamo - ha sottolineato il sindaco di Legnano Alberto Centinaio - senza dubbio alcuno, indicarlo ad esempio e modello di vita per tutti noi, soprattutto per le nuove generazioni».
Ma perché Mauro Venegoni è una leggenda, un esempio?
Legnano, 9 settembre 1943. E’ mattina e alla fabbrica metalmeccanica della Franco Tosi entrano due ex-operai, Mauro Venegoni ed il fratello Carlo, il quale fa un comizio di un paio di minuti soltanto incitando le maestranze a lottare contro i fascisti e contro l’occupante tedesco. Poi i due si danno alla clandestinità. La sera dell’8 settembre, con l’annuncio radiofonico dell’armistizio, si fa partire convenzionalmente l’inizio della Resistenza e uno dei primi atti, a livello nazionale, è proprio questo di Legnano, dei fratelli Venegoni.
Una famiglia operaia povera
Carlo, secondogenito di Paolo e Angela Stefanetti, era nato a Legnano nel 1902 e Mauro l’anno successivo. Vi erano poi due sorelle, Maria e Gina, ed altri due fratelli, Pierino nato nel 1908 e Guido nel 1919. Una famiglia operaia povera dove i bambini appena terminate le scuole elementari a dodici anni entravano in fabbrica come operai, trattati esattamente come gli adulti con gli stessi carichi di lavoro e turni anche notturni ma con una paga dimezzata a causa dell’età. Carlo e Mauro erano molto intelligenti e avrebbero desiderato studiare, invece andarono a lavorare Carlo al Cotonificio Cantoni e tre anni dopo alla Franco Tosi, Mauro subito alla Tosi.
Affascinati dal comunismo
Il 1° maggio 1917 è una data che ha cambiato loro la vita: Carlo e Mauro partecipano ad un comizio socialista. Ricorda Dario Venegoni «il segretario della Camera del Lavoro legnanese, un certo Montanari, parla di quello che sta avvenendo in Russia, dice che là i lavoratori hanno abbattuto lo Zar, e che anche qui è ora che gli operai divengano padroni del proprio destino. Deve essere un grande oratore, quel Montanari, perché i due fratelli ne sono rapiti. Cominciano a leggere la stampa socialista, a studiare, a organizzare il circolo giovanile, e raggruppano in poco tempo centinaia di giovani operai come loro. L’impegno politico è una scelta per la vita, per dare una speranza, un senso alla propria esistenza e per cambiare il destino di quelli come loro. Il resto, si potrebbe quasi dire, è conseguenza di quella scelta fatta da ragazzi». Attivisti sindacali e politici anche in fabbrica, i due fratelli sono alla guida dei grandi scioperi del settembre 1920 nel legnanese. Alla scissione del Partito Comunista dal Socialista con il Congresso di Livorno del gennaio 1921 i Venegoni passano al Partito Comunista e con loro una novantina dei cento iscritti legnanesi al Partito Socialista.
Il regime fascista non poteva certo vedere di buon occhio la loro attività e per Carlo e Mauro, ma poi anche per Pierino, si apriranno le porte del carcere e dei luoghi di confino. Carlo finirà a Portolongone e, dopo essere tornato in libertà ma “sorvegliato speciale”, all’entrata in guerra verrà nuovamente arrestato e confinato a Colfiorito. Poi, malato di tubercolosi, verrà inviato al sanatorio Regina Elena di Legnano, la struttura che sorge nell’ex-parco Ila in via Colli di Sant’Erasmo, da cui si è “liberamente allontanato”, cioè è scappato, il 25 luglio 1943 in occasione della caduta del governo fascista.
Mauro comunista internazionalista
Mauro dopo quindici mesi di carcere preventivo per ricostituzione di Partito Comunista riuscì nel 1930 ad emigrare clandestinamente in Francia, trovando lavoro alla Citroen e mettendosi, anche qui, alla testa dei grandi scioperi. Mauro andò anche a Mosca e considerò sempre quel periodo di intenso studio come “la sua università”. Rientrato in Francia e poi in Calabria, Mauro venne nuovamente arrestato e condannato a cinque anni di carcere. Carlo e Mauro non avevano potuto studiare a scuola ma in carcere e al confino studiarono filosofia, economia, lingue: Carlo sosteneva che quella era stata “la sua università”. Il 10 giugno 1940 con l’entrata in guerra dell’Italia, Mauro viene nuovamente arrestato e inviato al confino a Istonio Marina e poi alle Tremiti, per punizione in quanto aveva organizzato un comitato clandestino di resistenza interna al lager. Con un certo ritardo il nuovo governo, dopo la caduta di Mussolini, rilasciò i prigionieri politici e anche Mauro raggiunse Legnano.
Mauro e Carlo: protagonisti della Resistenza
E il 9 settembre 1943 Carlo e Mauro alla Franco Tosi inauguravano insieme un modo diverso di essere antifascista, un’attività intensissima non solo a Legnano ma in tutta la Valle Olona, insieme ai fratelli Pierino e Guido, in collaborazione con i partigiani di altre formazioni, con i cattolici, con i partigiani di montagna. «Tra i due fratelli, così uniti, così vicini eppure così diversi, era Mauro l’uomo d’azione – afferma Dario Venegoni -  Se il gruppo antifascista che si raccolse nel Legnanese attorno ai fratelli Venegoni fu così numeroso e compatto, lo si dovette all’esperienza, alla prudenza, alla determinazione di Carlo ma in misura non inferiore all’esempio trascinatore dell’ardimento, del coraggio, della temeraria ostinazione di Mauro. … Un capo partigiano che non si fermava davanti a nessun ostacolo, sempre in prima linea, anche quando forse avrebbe potuto stare più riparato».
Mauro non era solo un combattente, Mauro dissentiva dalla gestione del potere in Urss sostenendo con forza che “se mancava l’umanità non si potevano guidare i popoli” e Mauro aveva umanità, aveva un cuore grande che lo portava a rischiare la vita per esempio per onorare due ragazzi morti in uno scontro a fuoco, Dino Garavaglia e Renzo Vignati, presenziando camuffato, tra la folla, al loro funerale a Legnano. Per portare in salvo un compagno gravemente ferito, come Samuele Turconi, comandante della legnanese 101^ Brigata Garibaldi GAP e piantonato all’ospedale di Busto Arsizio in attesa della fucilazione. Per vendicare la morte dei quindici partigiani fucilati a Milano in piazzale Loreto il 10 agosto 1944: non li conosceva personalmente ma non riusciva a tollerare di non reagire alla strage e Carlo ha faticato non poco a trattenerlo da quello che sarebbe stato un sicuro suicidio. «Un litigio – ricorda Dario Venegoni – che andò avanti per una notte intera, nell’appartamento di una vecchia casa in via Larga, che i due fratelli utilizzavano come base milanese. … Mauro insisteva nel sostenere che bisognava fare qualcosa, per replicare immediatamente a quell’orrore. L’idea era semplice e pazzesca insieme: “Ci nascondiamo dietro la palizzata – diceva Mauro – e quando i fascisti vengono con un camion noi gli diamo addosso. Abbiamo anche un paio di bombe a mano, gliela facciamo pagare. Lo possiamo fare anche noi due da soli”. “Noi due!” esclamava mio padre, incredulo di fronte a quel piano, anche a decenni di distanza. “In mezzo a decine di fascisti, con due pistole e anche due bombe a mano!” Tutta la notte durò la discussione tra i fratelli, con mio padre che cercava di dimostrare che il piano era irrealizzabile. … Ma Mauro sembrava irrevocabilmente determinato a condurre l’azione, a rispondere all’eccidio immediatamente. “Insomma se non ti va lo faccio da solo” disse a un certo punto». Dopo una lunga discussione i due fratelli faranno infine una scelta differente: stamperanno in migliaia di copie e diffonderanno un volantino che denuncia la strage nazi-fascista.
L'aneddoto mostra chiaramente la passione politica di Mauro e una forte volontà dettata dall'antifascismo  di matrice comunista. Normalmente era un uomo freddo e razionale che sapeva ben valutare ciò che si poteva fare sulla base delle condizioni di clandestinità in cui operavano i due fratelli.
Lasciato solo
Milano, corso Buenos Aires 1, 29 ottobre 1944. Carlo, nuovamente arrestato, è da poco riuscito a fuggire dal lager di Bolzano Greis organizzandosi lui stesso la fuga con l’aiuto di alcuni compagni di Legnano. Mauro è comandante militare partigiano di una Brigata Garibaldi nel vimercatese. I due fratelli riescono a vedersi nel recapito di Mauro in corso Buenos Aires e in quell’occasione Mauro si lamenta dell’isolamento in cui lo sta relegando il Partito Comunista di Togliatti, da cui era stato espulso all’epoca del confino alle Tremiti e mai più riammesso: «Mauro era esasperato - racconterà poi Carlo - l’ho visto in uno stato di esasperazione tale da non saper più connettere». Mentre sono insieme arriva la notizia che è stato arrestato un compagno che conosce il recapito di Mauro e la prudenza vuole che si fugga il prima possibile. Mauro decide di portarsi verso Legnano, verso la Valle Olona dove ha parecchi compagni.
L'arresto e la morte
Busto Arsizio, 30 ottobre 1944. Mauro viene casualmente fermato dalle Brigate Nere a Busto, ha con sé documenti falsi e non viene riconosciuto ma, come spesso accadeva, i brigatisti lo interrogano e torturano per ottenere informazioni generali. A un certo punto un fascista lo riconosce: non è un qualunque Mario Raimondi ma è il famoso Venegoni che cercano da tempo, che sicuramente è al corrente di come sono composte le Brigate Garibaldi, di dove si trovano i loro comandanti, di dove è nascosto il fratello Carlo. Mauro non ha più scampo, corrono brigatisti fin da fuori Busto, viene torturato e mutilato, sul suo corpo ferite e lesioni di ogni genere. Mauro non dice una parola. “Vermi,” urla loro, “voi avete rovinato l’Italia!”. Mauro, sottolinea Dario Venegoni, «era il capo che proteggeva i propri uomini. E fu anche il torturato che si fece strappare gli occhi e rompere le ossa, ma non disse nulla che potesse aiutare i carnefici a rintracciare suo fratello o i suoi compagni».
La notte del 31 ottobre lo caricheranno su una lunga automobile nera, lo scaraventeranno moribondo lungo la strada per Cassano Magnago e lo finiranno con due colpi d’arma da fuoco alla nuca. Proprio là dove ora sorge il cippo in sua memoria. I giornali riporteranno la notizia di uno sconosciuto ucciso da non si sa chi con due colpi d’arma da fuoco. Verrà sepolto frettolosamente ma la vedova otterrà la riesumazione del cadavere e lo riconoscerà.
A Mauro verrà conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.
«Non erano quattro matti, i fratelli Venegoni – puntualizza Dario - Era la loro generazione, semmai, che era una generazione di matti: nel senso di una generazione pronta praticamente a tutto per ribaltare un mondo che consideravano ingiusto e intollerabile. È quella generazione di matti che ha portato nel mondo del lavoro i diritti che ora vengono difesi con tanta determinazione».


Per approfondimenti