domenica 5 giugno 2016

21 giugno 1944 la battaglia partigiana alla Mazzafame; 27 giugno 1944 lo scontro al ponte di S. Bernardino

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Anpi alla Mazzafame: "La libertà va difesa ogni giorno"



NEL DISCORSO DEL SINDACO ALBERTO CENTINAIO RICOSTRUITA LA STORIA DELLA BATTAGLIA ALLA MAZZAFAME E DEI SUOI PROTAGONISTI (Samuele Turconi, Ugo Bragè, Antonio Casèro e Piero Rìzzoli, Piera Pattani, Mauro Venegoni).

NEL DISCORSO DEL PRESIDENTE ANPI LEGNANO LUIGI BOTTA RICOSTRUITA LA VICENDA DELLO SCONTRO AL PONTE DI SAN BERNARDINO E DEI SUOI PROTAGONISTI (Renzo Vignati e Dino Garavaglia e il coadiutore dei SS. Martiri don Francesco Cavallini).


Amministrazione Comunale e sezione legnanese dell'ANPI insieme, come avviene da anni, per la cerimonia di Commemorazione degli episodi della lotta partigiana avvenuti nel giugno 1944 alla Cascina Mazzafame.

Stamane, dopo la celebrazione della messa officiata da don Fabio Viscardi, parroco dei Santi Martiri, il saluto del sindaco Alberto Centinaio, la commemorazione di Luigi Botta presidente dell'Anpi e una serie di interventi di studenti della scuola Media Dante Alighieri, secondo una tradizione che coinvolge direttamente i giovani in in questo momento celebrativo.
"E' sempre necessario ricordare questi avvenimenti? E, soprattutto, è necessario ricordarli ancora ai nostri giovani?", si è subito domandato il nostro primo cittadino, offrendo altrettanto immediatamente una risposta affermativa, perchè, ha spiegato, "qui, in questi avvenimenti, in questi luoghi, è nato il rifiuto al fascismo e si è rafforzata la lotta partigiana. Qui, c'è la testimonianza di una lotta di popolo che ha portato alla libertà di tutti noi. A loro il nostro grazie. Noi li sentiamo vicini. Ancora oggi ci indicano che il bene prezioso della libertà si mantiene solo con il rispetto delle leggi e con il nostro operare quotidiano fatto non solo di interessi personali e soprattutto con una buona Politica al servizio della comunità". Per il video del discorso, cliccare qui oppure sulla immagine sopra.
"La libertà nata dalla Lotta di Liberazione e dalla Resistenza non è un vitalizio - ha invece affermato Luigi Botta presidente Anpi -  essa va difesa ed alimentata ogni giorno. La Repubblica ci ha dato la Costituzione, un impareggiabile insieme di regole per vivere insieme. In essa c’è la strada per risolvere i nostri problemi, dove si proclama il primato della persona umana, della sua dignità, che ci ha resi cittadini e non più sudditi. Mentre la legge vieta, punisce sia pure nell’interesse di tutti, la Costituzione è tutto un SI, tutto a favore, è la legge del desiderio, la legge della speranza. Dobbiamo studiarla, assimilarla, renderla parte di noi stessi". Il testo completo del discorso in questa pagina, clicca qui
Come si ripete in questi ultimi anni, la conclusione della manifestazione ha avuto protagonisti gli studenti della media Dante Alighieri: Albert Axinia, Anna Kadhara, Francesco Luraschi e Riccardo Messineo, preparati dalla prof.sa Gabriella Ceci  e sotto lo sguardo attento e fiero del diregente scolastico prof. Armando De Luca, hanno letto brani indirizzati al senso civico che deve pervadere ognuno di noi di fronte a commemorazioni come quella vissuta oggi al Cascinone della Mazzafame. Per il video con gli sudenti, clicca qui oppure sulla immagine sopra.
Tra i presenti, Piera Pattani, 89 anni, la "staffetta partigiana" protagonista dell'episodio successivo al conflitto a fuoco ricordato oggi.
Immagini a cura di Luigi Frigo
(Marco Tajè)


La partigiana PIERA PATTANI che a 17 anni ha contribuito a salvare il comandante della 101^ Brigata Garibaldi GAP Samuele Turconi ricoverato in ospedale a Busto Arsizio in attesa di essere fucilato, ferito molto gravemente proprio nella battaglia alla Mazzafame del 21 giugno 1944

venerdì 20 maggio 2016

Il parchetto di via Venezia intitolato al partigiano Giovanni Brandazzi Presidente del CLN di Legnano

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Il parchetto di via Venezia intitolato al partigiano Brandazzi



Celebri canzoni partigiane, suonate e cantate dai "Numantini", per ricordare il partigiano Giovanni Brandazzi al quale è stato intitolato il giardinetto di via Venezia a Legnano.
La cerimonia si è svolta stamattina, domenica 24 aprile, alla presenza di diversi legnanesi.  A scoprire il cippo posto all'entrata dell'area verde il sindaco Alberto Centinaio con il presidente dell'Anpi Luigi Botta e i nipoti del partigiano, Sandra e Gianni.
All'evento, rientrante nel programma per celebrare l'anniversario della Liberazione d'Italia, hanno partecipato anche gli assessori Antonino Cusumano (Opere Pubbliche) e Umberto Silvestri (Cultura).
Il forte vento di oggi ha caratterizzato il momento commemorativo, così Botta, durante il suo intervento, ha ricordato la canzone partigiana "Fischia il vento".  «Sono commosso - ha esordito il presidente Anpi -. È da diversi anni che abbiamo chiesto un riconoscimento del CNL di Legnano (Comitato di Liberazione Nazionale) fondato dal legnanese Giovanni Brandazzi nato l’8 giugno 1900. Per noi è un volto sacro della storia partigiana locale. Ringrazio il sindaco che, dimostrando una forte sensibilità, ci ha permesso di ricordare quest'uomo. Brandazzi è per me una persona tanto cara: ho avuto modo di conoscerlo, in quanto ho vissuto la giovinezza con suo figlio Bruno. Buon 25 aprile a tutti e grazie sindaco per averci donato questa giornata».
«Sono felice di essere qui e ricordare una persona così importante in quanto è nella storia della Liberazione a Legnano - il commento del sindaco -. Cippi come questo sono un segno  che ci permetteno di ricordare persone come Brandazzi. Uomini che hanno lottato per ideali e speso bene la loro vita. Ci servono per non dimenticare e riflettere. Mi piacerebbe che, insieme alle scuole, si organizzassero percorsi in città per far scoprire ai nostri studenti le persone che hanno dedicato la loro vita per la Patria I ragazzi dovrebbero conoscere questi personaggi: sono esempi da seguire».
A precedere i musicisti "Numantini" la studiosa Renata Maria Pasquetto  che, in pochema efficaci parole, ha raccontato la vita di Brandazzi: «Finito il tempo clandestino, Giovanni non è tornato alla vita normale ma ha contribuito alla ripresa della città con il CNL. Come diceva lui: "la guerra aveva spazzato via tutte le organizzazioni", quindi era il momento di ricostruire e aiutare gli altri».
(Gea Somazzi)

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Giovanni Brandazzi, fondatore del CLN di Legnano


Giovanni Brandazzi è nato l’8 giugno 1900. Fu tra i fondatori del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Legnano sorto nei giorni immediatamente successivi all’armistizio dell’8 settembre 1943.
In un’intervista rilasciata nel trentennale dalla Liberazione, Giovanni Brandazzi ricostruisce l’attività del CLN: “A Legnano i primi partiti che poterono iniziare la loro attività furono il Partito Comunista ed il Partito Democristiano”. In seguito entrarono anche il partito socialista e repubblicano e Anacleto Tenconi, futuro primo sindaco di Legnano liberata, ricorda “… gli incontri clandestini tra i membri del CLN, in tutti i luoghi più impensati: nelle cantine delle case, nelle chiesette più sperdute fra i campi, in certi solai, nei sotterranei dell’asilo di Villa Cortese, nell’asilo Frua-Banfi di via Venezia a Legnano, quanti tremori e quante paure… Ricordo un incontro fra me e l’onorevole [Carlo] Venegoni il mattino di un giorno di nebbia nella landa sperduta dei prati fra San Vittore e Parabiago. Questo per darvi un’idea delle difficoltà, dei pericoli cui andammo incontro in quei momenti” (manoscritto Tenconi in Nicoletta Bigatti e Alberto Tenconi, Una vita per la città. Anacleto Tenconi. Ritratto di un sindaco legnanese, EMV Edizioni, 2011, p.42-43).
Giovanni Brandazzi è stato partigiano combattente, uno dei comandanti della 101^ Brigata Garibaldi “Giovanni Novara” SAP fin dalla sua costituzione e Commissario di Distaccamento (equiparato al grado militare di Sottotenente) dal 1° aprile 1944 al 30 settembre ’44. A ottobre del 1944 la 101^ Brigata Garibaldi venne scissa in due unità in quanto troppo numerosa (aveva superato 700 aderenti) e si formò la 182^ Brigata Garibaldi “Mauro Venegoni” SAP, alla quale passò Brandazzi con la qualifica gerarchica di Commissario di Brigata (grado di Tenente) dal 1° ottobre ’44 alla Liberazione.
Il 25 aprile 1945 entrò a far parte della Giunta Comunale provvisoria in qualità di Assessore alla Polizia Urbana (con Ernesto Macchi). Sindaco Anacleto Tenconi.
Ricorda Brandazzi nell’intervista: “L'attività del CLN non cessò dopo la Resistenza. La guerra era passata ed aveva spazzato via tutta l'organizzazione nazionale; non c'era più niente che funzionasse; la gente aveva fame e freddo e non c'erano i generi alimentari ed il combustibile.”
Nemmeno l’attività di Giovanni Brandazzi cessò in seno al CLN di Legnano in quanto ne venne eletto Presidente, da aprile 1945 fino alla sua cessazione il 5 luglio 1946, e si trovò quindi a far fronte a problemi di difficile ed urgente risoluzione ricercando anche la collaborazione della Giunta Comunale, degli industriali, dei commercianti, dell’ANPI, delle Associazioni Militari, delle varie altre Organizzazioni, dei medici, del clero e di tanti cittadini volonterosi. Nel Verbale della riunione del CLN dell’8 ottobre 1945 si legge difatti “Il CLN non chiede che collaborazione da parte di tutti, collaborazione che permetterebbe a chiunque di constatare di persona quanto sia più facile giudicare l’operato di chi si propone di ben fare in tempi tanto difficili, che non fornire sia pure solamente un consiglio per il raggiungimento di migliori risultati.”

Per avere un’idea delle difficoltà nel dopoguerra potete leggere la ricostruzione che è stata fatta dall’ANPI di Legnano attraverso i documenti del Comune, i Verbali del CLN di Legnano, le testimonianze: 

In sintesi, Brandazzi sottolinea “Bisognava portare nell'Emilia e nel Veneto biciclette, biancheria e stoffe per aver in cambio farina, formaggio, lardo ecc. Tornavano i partigiani dalle montagne ed i reduci dai campi di concentramento. Bisognava accogliere tutta questa gente e rifornirli di scarpe e denaro. L'ospedale, gli ambulatori, i ricoveri non avevano combustibile per il loro riscaldamento. Bisognava trovare carbone, lignite, torba, legna per far funzionare i loro impianti. I partigiani caduti erano stati sepolti ma non c'era un segno sopra le fosse. Bisognava costruire le tombe e le lapidi. La Liberazione era stata conquistata, ma occorreva che qualcosa si facesse per ricordare ai posteri il grande avvenimento. Si costruì a questo scopo un monumento (anche se modesto) in piazza 4 novembre. Bisogna aggiungere in conclusione che l'attività del CLN è stata sempre molto apprezzata da tutta la popolazione cittadina.”
A Legnano si votò per il Comune il 7 aprile 1946: Giovanni Brandazzi venne eletto nelle liste del PCI.


Primavera 1945 a Legnano

https://galileitimesblog.wordpress.com/2016/03/20/primavera-1945/




PRIMAVERA 1945

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La storia sta finalmente per subire una svolta netta, dopo anni di conflitti apparentemente insanabili, battaglie infinite, tuoni di aerei nel silenzio della notte e eserciti allo stremo. Le vicende e gli esiti della “Grande Storia” sono più o meno noti ai posteri, quello che invece va perdendosi dalla memoria collettiva sono tutte le piccole storie di gente ordinaria vissuta in quei tempi bui.
La mia proposta è di fare un piccolo salto indietro nel tempo per rivivere quei mesi di trasformazione con gli occhi semplici e forse un po’ inconsapevoli di un ragazzo di 17 anni (per comodità lo chiameremo Giovanni) che non si trovava ancora al fronte, in quanto minore, bensì occupato in una azienda statale la quale produceva calzature per l’esercito ufficiale. L’indagato speciale, classe 1927,  mi racconta volentieri di quel tempo per noi lontanissimo ancora ben impresso nella sua memoria….
La tragedia era giunta come inevitabile: dopo la guerra in Abissinia e le forti sanzioni della Società delle Nazioni ai danni dell’Italia fascista, il nostro Paese di ritrovò alle strette e si avvicinò agli unici che sembravano offrire un appiglio al Duce: Hitler e la sua Germania. Quando la guerra scoppiò, l’Italia si trovava ormai troppo vicina alla Germania e la scelta di entrare in guerra al fianco dei tedeschi era in quel frangente quasi obbligata. Giovanni allora era poco più che un bambino. La notizia ovviamente scosse la tranquillità di quegli ambienti che dopo anni di dittatura si erano costruiti un proprio equilibrio, le razioni di pane e zucchero, le campane notturne, i giovani al fronte, un’atmosfera mista di ammirazione e orrore per un ragazzino. Tuttavia la vita scorreva abbastanza tranquilla, i fronti erano lontani e quelli che rimanevano erano troppo occupati a lavorare. La situazione per la popolazione precipitò quando l’Italia cambiò fronte: i fascisti dopotutto era pur sempre Italiani, ma i tedeschi no, i tedeschi erano cattivi, spietati con quelli che li avevano traditi; e si sa, più si avvicina la fine, più i violenti si sfogano sui deboli.
Tornando alla primavera del 1945, l’armata tedesca ormai conservava solo pochi avamposti nella nostra Penisola, a cui però si attaccò con i denti. In un pomeriggio qualunque il nostro Giovanni camminava con un amico lungo il Sempione, andava in ditta, verso i colli di Sant’Erasmo, (in quella zona erano stanziate le sentinelle tedesche) , quando d’un tratto uno sparo ruppe il silenzio. In fondo alla strada accasciato giaceva un uomo, una ferita alla coscia e fiumi di sangue. Non si era fermato all’alt quel disgraziato, se lo caricarono in spalla, le mani alzate in segno di pace e corsero verso l’ospedale.
Di episodi come questi ne accadevano molti, alla luce del giorno, in quei mesi finali, stremati.
Poi finalmente la liberazione, gli Americani entrarono a Milano, l’Italia si volgeva verso un futuro democratico e libero. Ma che ne rimane di quelle storie ordinarie, di gente comune, che fino all’ultimo rimase nella propria terra a convivere con il dolore?

martedì 12 aprile 2016

Il giorno della Memoria: Candido Poli dalla F.Tosi ai lager nazisti

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Il giorno della Memoria: Candido Poli dalla F.Tosi ai lager nazisti




Candido Poli 
dalla Franco Tosi ai lager nazisti
“Candido Poli è un giovane operaio socialista arruolatosi in precedenza nelle formazioni combattenti in Val d’Ossola. Ai primi dell’anno 1944, egli fu mandato a casa per occuparsi dell’acquisto o della requisizione di una partita di armi, in possesso di un cittadino di Busto Arsizio. Per sua sfortuna, Poli capitò a Legnano proprio nel pieno della protesta operaia e alla vigilia dell’irruzione tedesca alla Tosi: così, nella notte del 4 gennaio, finì per incappare in una pattuglia mista italo-tedesca che andava perquisendo la brughiera alla periferia di Busto. Catturato, ebbe un inatteso aiuto da un maresciallo dei catabinieri, che fece mettere a verbale che il Poli non era armato (mentre in realtà possedeva una pistola: ma questa sarebbe stata una ragione sufficiente per la sua immediata fucilazione) e gli suggerì come comportarsi negli interrogatori previsti. Trasferito nei giorni successivi al carcere milanese di San Vittore, Poli ebbe modo di incontrare gli uomini arrestati alla Franco Tosi e dovette peraltro subire le nuove pesanti “attenzioni” da parte di ufficiali SS. Il 6 aprile iniziò per il partigiano legnanese, convinto di dover semplicemente andare a lavorare seppure forzatamente, il viaggio con destinazione Mauthausen”.
Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti, Alberto Centinaio, “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945”, Anpi Legnano 2009, pp. 201-202



Il racconto di Candido Poli
Mauthausen, Dachau, Bernau
"Il mio arrivo a Mauthausen è un trauma. Tutto quello che sapevo fino ad allora era che si andava a lavorare, almeno così ci avevano detto, e il lavoro non faceva paura a nessuno. La guerra finirà, pensavo, e - lavorare in Tosi o in Germania - prima o poi tornerò a casa. Non ero a conoscenza dei campi di sterminio, non sapevo cosa fossero e tanto meno ero a conoscenza delle condizioni in cui avremmo dovuto lavorare.
La prima volta che mi sono reso conto di come stavano le cose e ho pensato in modo crudo “qui non c'è scampo” è stato quando ci hanno fatto scendere dal treno: è mattino prestissimo e vedo che continuano ad arrivare tradotte cariche di gente. Penso: ma come, siamo partiti in quattro gatti e qui siamo migliaia e c'è gente da tutta Europa!
Già, il viaggio era stato un dramma. Nel nostro vagone eravamo una sessantina e tutti in piedi, non si poteva stare sdraiati perché non c'era posto. Vicino al portellone un mucchietto di segatura: scopriremo più tardi che doveva servire come gabinetto per tutti quanti.
Sette giorni di viaggio: una volta sola ci hanno aperto il portellone e all'arrivo a Mauthausen, il vagone era ormai un inferno fetido. C’era un buio pesto e un freddo pungente.
Più passavano i giorni più si scatenava nel vagone una vera e propria lotta per la sopravvivenza, alcuni cominciavano ad avere la dissenteria e si sporcavano e allora venivano automaticamente isolati in fondo al vagone perché puzzavano. La fame faceva diventare cattivi: i più fortunati che avevano conservato qualcosa da mangiare se ne stavano in un cantuccio ma di notte si sentiva anche il respiro del vicino e bastava sentire che qualcuno faceva andare la bocca e i denti per far scatenare litigi. Poi le soste interminabili e allora si pensava: forse siamo arrivati, adesso ci fanno scendere e ci daranno da mangiare, magari anche qualcosa di caldo. Se dovremo lavorare ci daranno da mangiare e ci faranno dormire, poi invece si scopriva che eravamo solo fermi su un binario morto perché doveva passare qualche convoglio militare.
La prima volta ci hanno aperto il portellone dopo Innsbruck, ci hanno dato un pezzo di pane e una brodaglia in un bicchiere, la seconda volta alla stazione di Mauthausen ma ormai qualcuno, tra i più anziani, era già morto.
Scesi dal treno, nel tratto di strada che va su verso il campo si cominciano a vedere cani lupo che azzannano quelli che escono dalla fila dove siamo incolonnati. Ricordo che la scena mi aveva fatto particolare impressione. Quando ero sul treno non ne potevo più d'arrivare, mi immaginavo certo, almeno da come stavano andando le cose, che la vita di lavoro in Germania non sarebbe stata facile ma qui i cani sbranavano la gente e allora ho cominciato a pensare: qui non si va a lavorare, è tutto un inganno, devo stare attento a tenere cara la vita.
Al campo altro trauma: ci fanno spogliare tutti e ci lasciano nudi e in piedi per cinque o sei ore. Tutti: giovani, vecchi, donne e bambini. Io avevo vent'anni ma certo non c‘era la spigliatezza che ci può essere oggi e il fatto d'aver vicino un uomo di 50-60 anni anche lui nudo, trattato anche peggio di me e preso a bastonate proprio perché era vecchio, creava un forte imbarazzo. Ma poi non si ha neanche più il tempo di farci caso perché si comincia a pensare solo al freddo. Siamo in aprile ma fa un freddo cane e bisogna stare in piedi immobili per ore e aspettare il proprio turno.
E' la selezione: un signore in camice bianco, non so se medico o cos'altro, dietro un tavolino, chiama uno per uno in tedesco. La prima volta che mi chiamano e mi danno il numero di matricola non ho capito nulla. E come potevo sapere che il Zwei Tausand Ein hundert Zwei und Dreizing ero io? lo ero il 2132 e in tedesco non lo sapevo ma poi ho dovuto impararlo subito e in fretta perché chi non lo imparava subito ci rimetteva la vita a suon di calci e bastonate. Poi la rasatura a zero di tutti i peli che si hanno sul corpo e poi la divisione: Links, rechts. Links, rechts (sinistra, destra).
Mi mandano a sinistra, mi consegnano una saponetta piccolissima e sabbiosa e un asciugamano in tela molto piccolo anche lui, ci fanno entrare in gruppo in un locale che sarà stato 6 o 7 metri per altrettanti: era la sala delle docce ma non lo sapevamo ancora. La prima volta che siamo entrati avevamo paura perché non si sapeva cosa sarebbe successo dopo. A entrarci era già stata un’impresa perché le SS tiravano bastonate ai lati del gruppo e allora ci si accalcava al centro.
Una volta dentro chiudono ermeticamente la porta alle spalle e allora gridiamo... adesso cosa faranno? Poi d'improvviso da alcuni bocchettoni sulle pareti ci vengono addosso dei getti d'acqua: è così che ci lavano.
Poi tutto finisce e aprono una porta dalla parte opposta da cui siamo entrati. Ci consegnano delle divise in tela e ci assegnano alle baracche. Quando ho un attimo di tempo per fermarmi a pensare mi guardo attorno e mi accorgo che i bambini che hanno viaggiato con noi non ci sono più, quelli di 12 o l3 anni hanno una baracca solo per loro ma gli altri, quelli più piccoli, non si vedono più; quelli molto anziani, anche loro non si vedono più.
Solo più tardi saprò quale fine era stata loro riservata: la camera a gas perché gli stessi stanzoni che servivano per le docce servivano anche ad altro uso. Le donne invece erano già state separate prima.
Stiamo una settimana in baracca a Mauthausen poi mi trasportano a Dachau. Qui fanno di nuovo la disinfezione ma non la selezione e mi destinano subito ad una baracca. Successivamente mi trasferiscono ancora e mi mandano in un sottocampo di Dachau che si chiama Bernau. Difficilmente venivano trasporti da un campo madre a un altro campo madre e non so come mai da Mauthausen mi hanno portato a Dachau e poi ancora nel sottocampo, ma forse proprio questa è stata la mia fortuna…
Il kapò della mia baracca era un cecoslovacco al quale poi salvammo la vita. Picchiava sì, ma c'era modo e modo di picchiare, lui non picchiava con cattiveria, non picchiava tanto da rovinare una persona: gli altri sì, gli altri massacravano. Dopo la Liberazione fecero il processo anche a lui: mi chiamarono a testimoniare, mi portarono in barella e dissi come si era comportato con noi. Le mie parole erano tenute in considerazione e il kapò fu graziato.
In baracca c'era gente di tutte le nazionalità e di tutti i tipi, francesi, russi, ungheresi, due australiani, anche dei tedeschi stessi, un triestino che aveva ammazzato una vecchia per rubare e poi un prete francese: avevo scoperto che era prete perchè ogni tanto lo vedevo che si metteva in un cantuccio con qualche altro francese, aveva fatto una piccolissima croce con due pezzettini di legno anche se era proibito tenere qualsiasi cosa e per questo poteva rischiare la vita.
A lavorare ci mandavano dappertutto. Spesso ci mandavano in un campo all'aperto, al freddo, tutto il giorno e con qualsiasi tempo. E allora le cose più banali diventavano tragedie: uno per andare al gabinetto doveva chiedere il permesso al comandante: Kommandant, ich muss aut den Abort gehen... ma la SS faceva finta di non sentire oppure ti diceva che non si poteva e te lo faceva capire facendo menare la frusta che aveva in mano e così per tutto il giorno.
Ad un certo punto a lavorare in quelle condizioni ci si debilita, non si sta più in piedi. Le reni diventano sempre più deboli e il freddo ti stimola di più, la vescica ti scoppia e uno non riesce più a controllarsi e, pur con tutto lo sforzo, se la fa addosso mentre lavora. Ma anche questo non si poteva fare. Guai! Ne ho visti tanti pestati a sangue e ridotti in fin di vita solo perché si erano sporcati.
I bisogni corporali e la dissenteria erano un incubo. E poi i pidocchi: noi eravamo ormai abituati e non ci facevamo più caso anche se erano terribilmente fastidiosi ma avevamo paura perché le SS punivano quelli che avevano i pidocchi. Avevano paura delle epidemie. Un giorno mi ricordo di un gran trambusto, le SS erano eccitatissime: fanno l'appello, ci mettono di nuovo fuori tutti nudi, in piedi e immobili al freddo per ore; entrano nelle baracche e buttano all'aria tutto, perquisiscono dappertutto, gridano, urlano e corrono. Il perché lo veniamo a sapere dopo qualche giorno: c'era stato l’attentato a Hitler (20 luglio 1944, nda). Ricordo anche che, a questa notizia, c'era stata un po' la sensazione che la guerra potesse essere sul punto di finire ma poi finimmmo per pensare che la vita al campo sarebbe stata più dura di prima.
Alcune volte andavamo a disinnescare le bombe inesplose: dovevamo scavare piano piano una buca attorno alla bomba e anche qui molti, tanti, sono saltati in aria proprio mentre stavano scavando. Ma anche al campo si poteva morire per nulla, per un capriccio delle SS e da un momento all'altro.
Un’altra cosa insopportabile era il silenzio. Già c'era difficoltà a capirsi perché tra noi si parlava un miscuglio di lingue che sa Dio come facevamo ad intenderci ma in più non si poteva parlare, non ci si poteva muovere, non si poteva far niente di niente se non quello che ci veniva ordinato, altrimenti erano botte e bastonate. L'eliminazione fisica era crudele, quella morale e psicologica deprimente. Il non poter parlare, il sentirti solo come un cane, il sapere che le SS ti possono ammazzare quando vogliono...
Li vedi ogni giorno, quelli impiccati, quelli moribondi che mandano al crematorio per bruciarli, vedi tutto, le atrocità più assurde e non puoi dire nulla, anzi cerchi solo di non fare la stessa fine e di salvare la pelle. C'è da impazzire perché poi devi fare solo le cose a comando e arrivi a un punto che neppure riesci a fare niente altro se non te lo comandano, ma anche in questo caso hai il terrore che se sbagli è finita e a loro pur di vivere anche solo un giorno in più non ti importa di essere ridotto a fare qualsiasi bassezza…
La nostra Liberazione avviene il 6 maggio 1945: il nostro campo viene circondato contemporaneamente dalle forze francesi e inglesi quando anch'io sono ridotto allo stremo e sono già nel lazzaretto.
Il giorno dopo il campo passa sotto la giurisdizione degli americani e vengono date 24 ore di carta libera a tutti gli internati: io non ne usufruisco perchè non riesco più a camminare. Sono dichiarato intrasportabile per un mese intero ma molti internati escono dal campo, invadono il paese vicino e quasi lo distruggono tanto sono ridotti a bestie, terrorizzati ed euforici insieme.
Quando incominciano le prime visite mediche degli americani siamo ormai dei ricettacoli ambulanti di parassiti, ferite purulente da ogni parte, scheletri con il cervello annebbiato. Poi vengo trasportato in un ospedale della Foresta Nera che era stato requisito ai tedeschi dalle forze alleate e qui sono rimasto fino al novembre del '45.
Ricordo che un giorno siamo usciti dall'ospedale: eravamo in 5 italiani ed eravamo diventati un po' un caso per l'ospedale perchè non ci trovavano più e neppure noi sapevamo più tornare. Tra noi c'era un greco laureato il cui padre però era italiano e un tale Montini, che è ancora vivo e lavora a Roma. Non so come ci ritrovarono poi.
Dopo altre cure ci mettono su un treno e ci spediscono in Italia al centro ospedaliero di Merano. Per tutta la permanenza in ospedale recupererò 20 chili di peso con una media di un chilo al giorno.
Riuscirò a vedere i miei genitori solo nella primavera del '46. Mio padre aveva saputo che ero ancora vivo dalla radio e allora vennero a trovarmi a Merano. Fino al novembre '45 risultavo vivo presso la CR internazionale ma non erano riusciti a trovarmi.
A Legnano era già arrivata la notizia che ero stato fucilato".
Paolo Pozzi, “Quei ventenni del ’43. Appunti di cronaca e storia della Resistenza nell’Alto Milanese”, Macchione Editore 1995, pp. 119-121
Oggi Candido Poli è un giovanotto di 90 anni e gode ottima salute. Gli auguriamo tutti tanta salute ancora.

Giancarlo Restelli

http://restellistoria.altervista.org/pagine-di-storia/giorno-della-memoria/
- I deportati politici di Legnano nei lager nazisti. Cimitero monumentale di Legnano
http://www.youtube.com/watch?v=g3-KFi7rhbM
- Legnano incontra il Ghetto di Cracovia
http://www.youtube.com/watch?v=v3aMcp8si1s

Pubblicato domenica 26 gennaio 2014