giovedì 3 dicembre 2015

E' morto Lonati, il "giustiziere" di Mussolini

http://www.legnanonews.com/news/1/53393/e_morto_lonati_il_giustiziere_di_mussolini

E' morto Lonati, il "giustiziere" di Mussolini


Ieri, sabato 14 novembre 2015, si è spento nella sua casa di Milano il partigiano Bruno Giovanni Lonati.

Lonati (nato a Legnano, classe 1921) fu figura di spicco nella Resistenza in Valle Olona e a Milano con il nome di battaglia di ”Giacomo”. In anni recenti Lonati si è assunta la responsabilità di aver fucilato Mussolini.
La sezione Anpi di Legnano rende omaggio al partigiano combattente ed esprime cordoglio alla famiglia.
Bruno Giovanni Lonati dal 1936 al 1956 ha lavorato alla Franco Tosi; in questo periodo sono compresi il servizio militare e la successiva attività partigiana, seguita sino al febbraio del 1946 da quella politica e sindacale. Trasferitosi a Torino nel 1958, ha poi ricoperto incarichi dirigenziali alla Fiat. Dopo il 1980 ha diretto a Bari un’importante società metalmeccanica; è stato poi consulente industriale e ha scritto diversi libri di carattere tecnico.

- Per conoscere meglio Lonati e in particolare le circostanze in cui sarebbe avvenuta l'esecuzione di Mussolini:


L’attentato al “Mantegazza” e il novembre di fuoco del ‘44 a Legnano

http://www.legnanonews.com/news/1/53029/l_attentato_al_mantegazza_e_il_novembre_di_fuoco_del_44_a_legnano

L’attentato al “Mantegazza” e il novembre di fuoco del ‘44 a Legnano


Tra le azioni più clamorose della Resistenza a Legnano c’è l’attentato all’albergo “Mantegazza” del 4 novembre 1944. E’ un episodio importante ma probabilmente poco o nulla conosciuto nella nostra città.
L’albergo-ristorante era situato al numero 18 del corso Vittorio Emanuele, ovvero tra il Monumento ad Alberto da Giussano e la stazione ferroviaria. Oggi al posto del vecchio albergo c’è una recente costruzione.
Il “Mantegazza” era diventato da tempo luogo di ritrovo di militari tedeschi, brigatisti neri ma non si può escludere anche di gente comune vista la prossimità alla stazione ferroviaria. Il giorno prescelto garantiva la presenza nel locale di molte persone perché si festeggiava l’anniversario della Vittoria italiana nella Grande Guerra.
Poco prima delle ore 21 del 4 novembre fu collocato da alcuni partigiani dei GAP un potente ordigno esplosivo sul davanzale della finestra con corta miccia. L’esplosione fu violentissima e si sentì in ogni punto della città.
Il bilancio delle vittime fu grave: morirono l’ingegner Hans Kasten, tecnico presso la Franco Tosi, un ufficiale tedesco, il legnanese Carlo Colombo (una spia secondo i partigiani). Il brigatista Renzo Montoli perse la vista e morì pochi giorni dopo. Numerosi furono i feriti. Il locale seriamente danneggiato.
La decisione dell’attentato fu presa all’interno della 101esima GAP di Legnano in accordo con il CLN di Milano.
Quali furono gli obiettivi dell’azione militare? Non è facile oggi districare la matassa.
Uno dei motivi era la notorietà del “Mantegazza” quale locale pubblico frequentato da tedeschi e fascisti. In città si raccontavano, con esplicita disapprovazione, di feste e festini che si prolungavano nella notte con consumo di bevande alcoliche e alimenti che nel resto della città erano introvabili.
Non si può escludere (altra ipotesi) che l’attentato sia stato anche una vendetta per la barbara uccisione di Mauro Venegoni avvenuta il 31 ottobre a Cassano Magnago.
Mauro Venegoni con il fratello Carlo erano tra i fondatori della Resistenza armata nella Valle Olona. L’assassinio di Mauro richiedeva un’immediata risposta politico-militare per dimostrare che la Resistenza non era morta, anzi proseguiva con la propria strategia volta a portare la guerriglia e il terrore in città.
Probabilmente ci furono discussioni e divisioni all’interno del gruppo dirigente legnanese perchè la reazione delle autorità tedesche poteva rivelarsi pericolosa e nel locale, nel momento dell’attentato, potevano esserci avventori che non c’entravano nulla con tedeschi e fascisti. Prevalsero alla fine i fautori dell’attentato.
Un’altra ipotesi dell’attentato, che non cancella la seconda, è una risposta del partigianato legnanese a numerosi arresti tra i comunisti della 101esima SAP (fine ottobre-inizio novembre) tra i quali alcuni capi come Filippo Zaffaroni. Questi arresti, avvenuti anche fuori Legnano, avevano profondamente indebolito la formazione partigiana.
Gli attentatori: Samuele Turconi e Francesca Mainini
Il diretto autore dell’attentato fu il partigiano legnanese Samuele Turconi con l’appoggio di un paio di donne che avrebbero dovuto portare l’esplosivo in prossimità del “Mantegazza”. Le donne con le borse della spesa potevano, con un buon margine di successo, nascondere armi o esplosivo.
Sentiamo dalle parole di Samuele Turconi come andarono le cose.
- Intervista a Samuele Turconi: https://youtu.be/CF9eGBqQjiw
Turconi giustifica l’azione del “Mantegazza” come obiettivo politico (“covo di fascisti”) e come vendetta per l’omicidio di Venegoni. Quasi sicuramente l’attentato era stato deciso già a ottobre: la morte di Venegoni e gli arresti dei partigiani accelerano i preparativi e permettono di dare un maggiore risalto all’azione militare.
Una delle due donne che portarono l’esplosivo fu Francesca Mainini. Ascoltiamo anche quanto raccontò in un’intervista di una decina di anni fa.
- Intervista a Francesca Mainini: https://youtu.be/ErJ4u1hr344
L'altra donna era Alba Lonati, moglie di Bruno Giovanni Lonati. La temuta reazione tedesca e fascista non ci fu. Furono fermati alcuni uomini della Resistenza cattolica come Anacleto Tenconi (poi primo sindaco nella Legnano liberata), don Carlo Riva e Neutralio Frascoli. Altre persone furono arrestate, detenute come ostaggi e probabilmente torturate nella sede dell’Ufficio Politico Investigativo insediato nel vecchio “circolo dei signori” in via Alberto da Giussano (oggi c’è il Bingo).
Il Comune di Legnano fu pesantemente multato, il coprifuoco fu allungato ma nessuna vendetta né in città né nel carcere di San Vittore tra i detenuti della sezione politica.
Samuele Turconi rimase a Legnano fino alla fine di novembre nonostante il suo nome fosse indicato come l’autore dell’attentato. Nei giorni successivi sulla sua testa fu posta una taglia. Nonostante il pericolo di arresto e condanna a morte Turconi fu autore nei giorni immediatamente successivi di alcuni attentati ai treni.
Novembre di fuoco
Con l’attentato al Mantegazza non finirono le operazioni militari della Resistenza a Legnano e zona, anzi potremmo dire che ebbero un’intensificazione:
- 4 novembre, è arrestato con altri Filippo Zaffaroni (“pericoloso bandito” secondo i fascisti), in realtà autorevole capo partigiano della zona
- 5 novembre, disarmo di un milite della Guardia Repubblicana
- 5 novembre, è arrestato a Milano il legnanese Luigi Mazza. Deportato a Bolzano e Mauthausen morirà a Gusen nel marzo del ‘45
- 6 novembre, sabotaggio lungo la linea Milano-Domodossola, a Canegrate, con conseguente blocco della circolazione per alcune ore
- 6-7 novembre, il partigiano Bruno Lonati riesce appena in tempo a fuggire dalla sua abitazione prima dell’arrivo dei fascisti
- 7 novembre, alcuni partigiani assaltano un posto di blocco (incrocio Sempione-Cadorna), uccidono un militare e un altro è ferito. Nell’azione è ucciso il partigiano Enrico Rondanini di Nerviano
- 9 novembre, due antifascisti, Giovanni Rovellini e Serafino Roveda, sono fermati a Legnano e uccisi a botte sul ponte della Gabinella
- 10 novembre, tre bombe bloccano il traffico ferroviario a Canegrate. Azione coordinata da Turconi
- 11 novembre, è arrestato Guido Venegoni, fratello di Mauro. La fucilazione prevista in piazza San Magno non ha luogo
- 13 novembre, attentato a Rescaldina lungo la linea ferroviaria delle Nord
- 14 novembre, due bombe lungo i binari bloccano il traffico ferroviario a Castellanza. Di nuovo è Turconi il responsabile
- 14 novembre, in via Garibaldi due militari della GNR sono feriti
- 16 novembre, una ventina di garibaldini tentano un attacco alla caserma della GNR di via dei Mille. Ne nasce un furioso conflitto a fuoco, anche con lancio di bombe a mano, ma il colpo non riesce. Nessuna vittima
- 21 novembre, attacco partigiano a un posto di blocco alla Canazza che si conclude con la morte di un partigiano
- 29 novembre, sei uomini della GNR partono da Legnano verso Momo (oltre Oleggio) per effettuare un rastrellamento. I cadaveri sono ritrovati venti giorni dopo nella zona. Tre di loro erano cittadini legnanesi: Giuseppe Clementi, Augusto Almasio e Luigi Vignati
- fine novembre, tentativo andato a vuoto di sottrarre armi e munizioni dalla caserma di via dei Mille da parte dei partigiani della “Carroccio” (cattolici) contando su una collaborazione interna
I mesi successivi non sarebbero stati meno tesi fino all’esplosione delle forze resistenziali nella tumultuosa primavera del ’45.
Giancarlo Restelli e Renata Pasquetto

-Dedicato a tutti i partigiani di Legnano e della Valle Olona:
Molte notizie, nomi e date, le abbiamo trovate in “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945” di Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti e Alberto Centinaio, pp. 254-58. Ringraziamo gli autori
Luigi Borgomaneri, “Due inverni, un’estate e una rossa primavera”, p. 182
“Marciavamo con l’anima in spalla”, documentario dell’Anpi di Legnano a cura di Nicoletta Bigatti, dal quale abbiamo tratto le interviste audio
Giorgio D’Ilario (a cura di), “Legnano e la Resistenza”, pp. 48-50
“Legnano nella Resistenza” a cura di Giorgio D’Ilario e Giuseppe Bruno, pp. 70-71

Mauro Venegoni

http://www.legnanonews.com/news/2/52723/

Mauro Venegoni


Dario Venegoni, nipote di Mauro e figlio di Carlo, lo scorso ottobre 2014 in occasione della commemorazione della morte di Mauro Venegoni ha commentato: «Mi sorprende sempre vedere così tanta gente presente a questa cerimonia; il motivo lo vedo nella modernità della figura di Mauro, dotata di una morale eccezionale di combattente integerrimo non disponibile a compromessi che gli ha conferito quest’aurea di leggenda». «Possiamo - ha sottolineato il sindaco di Legnano Alberto Centinaio - senza dubbio alcuno, indicarlo ad esempio e modello di vita per tutti noi, soprattutto per le nuove generazioni».
Ma perché Mauro Venegoni è una leggenda, un esempio?
Legnano, 9 settembre 1943. E’ mattina e alla fabbrica metalmeccanica della Franco Tosi entrano due ex-operai, Mauro Venegoni ed il fratello Carlo, il quale fa un comizio di un paio di minuti soltanto incitando le maestranze a lottare contro i fascisti e contro l’occupante tedesco. Poi i due si danno alla clandestinità. La sera dell’8 settembre, con l’annuncio radiofonico dell’armistizio, si fa partire convenzionalmente l’inizio della Resistenza e uno dei primi atti, a livello nazionale, è proprio questo di Legnano, dei fratelli Venegoni.
Una famiglia operaia povera
Carlo, secondogenito di Paolo e Angela Stefanetti, era nato a Legnano nel 1902 e Mauro l’anno successivo. Vi erano poi due sorelle, Maria e Gina, ed altri due fratelli, Pierino nato nel 1908 e Guido nel 1919. Una famiglia operaia povera dove i bambini appena terminate le scuole elementari a dodici anni entravano in fabbrica come operai, trattati esattamente come gli adulti con gli stessi carichi di lavoro e turni anche notturni ma con una paga dimezzata a causa dell’età. Carlo e Mauro erano molto intelligenti e avrebbero desiderato studiare, invece andarono a lavorare Carlo al Cotonificio Cantoni e tre anni dopo alla Franco Tosi, Mauro subito alla Tosi.
Affascinati dal comunismo
Il 1° maggio 1917 è una data che ha cambiato loro la vita: Carlo e Mauro partecipano ad un comizio socialista. Ricorda Dario Venegoni «il segretario della Camera del Lavoro legnanese, un certo Montanari, parla di quello che sta avvenendo in Russia, dice che là i lavoratori hanno abbattuto lo Zar, e che anche qui è ora che gli operai divengano padroni del proprio destino. Deve essere un grande oratore, quel Montanari, perché i due fratelli ne sono rapiti. Cominciano a leggere la stampa socialista, a studiare, a organizzare il circolo giovanile, e raggruppano in poco tempo centinaia di giovani operai come loro. L’impegno politico è una scelta per la vita, per dare una speranza, un senso alla propria esistenza e per cambiare il destino di quelli come loro. Il resto, si potrebbe quasi dire, è conseguenza di quella scelta fatta da ragazzi». Attivisti sindacali e politici anche in fabbrica, i due fratelli sono alla guida dei grandi scioperi del settembre 1920 nel legnanese. Alla scissione del Partito Comunista dal Socialista con il Congresso di Livorno del gennaio 1921 i Venegoni passano al Partito Comunista e con loro una novantina dei cento iscritti legnanesi al Partito Socialista.
Il regime fascista non poteva certo vedere di buon occhio la loro attività e per Carlo e Mauro, ma poi anche per Pierino, si apriranno le porte del carcere e dei luoghi di confino. Carlo finirà a Portolongone e, dopo essere tornato in libertà ma “sorvegliato speciale”, all’entrata in guerra verrà nuovamente arrestato e confinato a Colfiorito. Poi, malato di tubercolosi, verrà inviato al sanatorio Regina Elena di Legnano, la struttura che sorge nell’ex-parco Ila in via Colli di Sant’Erasmo, da cui si è “liberamente allontanato”, cioè è scappato, il 25 luglio 1943 in occasione della caduta del governo fascista.
Mauro comunista internazionalista
Mauro dopo quindici mesi di carcere preventivo per ricostituzione di Partito Comunista riuscì nel 1930 ad emigrare clandestinamente in Francia, trovando lavoro alla Citroen e mettendosi, anche qui, alla testa dei grandi scioperi. Mauro andò anche a Mosca e considerò sempre quel periodo di intenso studio come “la sua università”. Rientrato in Francia e poi in Calabria, Mauro venne nuovamente arrestato e condannato a cinque anni di carcere. Carlo e Mauro non avevano potuto studiare a scuola ma in carcere e al confino studiarono filosofia, economia, lingue: Carlo sosteneva che quella era stata “la sua università”. Il 10 giugno 1940 con l’entrata in guerra dell’Italia, Mauro viene nuovamente arrestato e inviato al confino a Istonio Marina e poi alle Tremiti, per punizione in quanto aveva organizzato un comitato clandestino di resistenza interna al lager. Con un certo ritardo il nuovo governo, dopo la caduta di Mussolini, rilasciò i prigionieri politici e anche Mauro raggiunse Legnano.
Mauro e Carlo: protagonisti della Resistenza
E il 9 settembre 1943 Carlo e Mauro alla Franco Tosi inauguravano insieme un modo diverso di essere antifascista, un’attività intensissima non solo a Legnano ma in tutta la Valle Olona, insieme ai fratelli Pierino e Guido, in collaborazione con i partigiani di altre formazioni, con i cattolici, con i partigiani di montagna. «Tra i due fratelli, così uniti, così vicini eppure così diversi, era Mauro l’uomo d’azione – afferma Dario Venegoni -  Se il gruppo antifascista che si raccolse nel Legnanese attorno ai fratelli Venegoni fu così numeroso e compatto, lo si dovette all’esperienza, alla prudenza, alla determinazione di Carlo ma in misura non inferiore all’esempio trascinatore dell’ardimento, del coraggio, della temeraria ostinazione di Mauro. … Un capo partigiano che non si fermava davanti a nessun ostacolo, sempre in prima linea, anche quando forse avrebbe potuto stare più riparato».
Mauro non era solo un combattente, Mauro dissentiva dalla gestione del potere in Urss sostenendo con forza che “se mancava l’umanità non si potevano guidare i popoli” e Mauro aveva umanità, aveva un cuore grande che lo portava a rischiare la vita per esempio per onorare due ragazzi morti in uno scontro a fuoco, Dino Garavaglia e Renzo Vignati, presenziando camuffato, tra la folla, al loro funerale a Legnano. Per portare in salvo un compagno gravemente ferito, come Samuele Turconi, comandante della legnanese 101^ Brigata Garibaldi GAP e piantonato all’ospedale di Busto Arsizio in attesa della fucilazione. Per vendicare la morte dei quindici partigiani fucilati a Milano in piazzale Loreto il 10 agosto 1944: non li conosceva personalmente ma non riusciva a tollerare di non reagire alla strage e Carlo ha faticato non poco a trattenerlo da quello che sarebbe stato un sicuro suicidio. «Un litigio – ricorda Dario Venegoni – che andò avanti per una notte intera, nell’appartamento di una vecchia casa in via Larga, che i due fratelli utilizzavano come base milanese. … Mauro insisteva nel sostenere che bisognava fare qualcosa, per replicare immediatamente a quell’orrore. L’idea era semplice e pazzesca insieme: “Ci nascondiamo dietro la palizzata – diceva Mauro – e quando i fascisti vengono con un camion noi gli diamo addosso. Abbiamo anche un paio di bombe a mano, gliela facciamo pagare. Lo possiamo fare anche noi due da soli”. “Noi due!” esclamava mio padre, incredulo di fronte a quel piano, anche a decenni di distanza. “In mezzo a decine di fascisti, con due pistole e anche due bombe a mano!” Tutta la notte durò la discussione tra i fratelli, con mio padre che cercava di dimostrare che il piano era irrealizzabile. … Ma Mauro sembrava irrevocabilmente determinato a condurre l’azione, a rispondere all’eccidio immediatamente. “Insomma se non ti va lo faccio da solo” disse a un certo punto». Dopo una lunga discussione i due fratelli faranno infine una scelta differente: stamperanno in migliaia di copie e diffonderanno un volantino che denuncia la strage nazi-fascista.
L'aneddoto mostra chiaramente la passione politica di Mauro e una forte volontà dettata dall'antifascismo  di matrice comunista. Normalmente era un uomo freddo e razionale che sapeva ben valutare ciò che si poteva fare sulla base delle condizioni di clandestinità in cui operavano i due fratelli.
Lasciato solo
Milano, corso Buenos Aires 1, 29 ottobre 1944. Carlo, nuovamente arrestato, è da poco riuscito a fuggire dal lager di Bolzano Greis organizzandosi lui stesso la fuga con l’aiuto di alcuni compagni di Legnano. Mauro è comandante militare partigiano di una Brigata Garibaldi nel vimercatese. I due fratelli riescono a vedersi nel recapito di Mauro in corso Buenos Aires e in quell’occasione Mauro si lamenta dell’isolamento in cui lo sta relegando il Partito Comunista di Togliatti, da cui era stato espulso all’epoca del confino alle Tremiti e mai più riammesso: «Mauro era esasperato - racconterà poi Carlo - l’ho visto in uno stato di esasperazione tale da non saper più connettere». Mentre sono insieme arriva la notizia che è stato arrestato un compagno che conosce il recapito di Mauro e la prudenza vuole che si fugga il prima possibile. Mauro decide di portarsi verso Legnano, verso la Valle Olona dove ha parecchi compagni.
L'arresto e la morte
Busto Arsizio, 30 ottobre 1944. Mauro viene casualmente fermato dalle Brigate Nere a Busto, ha con sé documenti falsi e non viene riconosciuto ma, come spesso accadeva, i brigatisti lo interrogano e torturano per ottenere informazioni generali. A un certo punto un fascista lo riconosce: non è un qualunque Mario Raimondi ma è il famoso Venegoni che cercano da tempo, che sicuramente è al corrente di come sono composte le Brigate Garibaldi, di dove si trovano i loro comandanti, di dove è nascosto il fratello Carlo. Mauro non ha più scampo, corrono brigatisti fin da fuori Busto, viene torturato e mutilato, sul suo corpo ferite e lesioni di ogni genere. Mauro non dice una parola. “Vermi,” urla loro, “voi avete rovinato l’Italia!”. Mauro, sottolinea Dario Venegoni, «era il capo che proteggeva i propri uomini. E fu anche il torturato che si fece strappare gli occhi e rompere le ossa, ma non disse nulla che potesse aiutare i carnefici a rintracciare suo fratello o i suoi compagni».
La notte del 31 ottobre lo caricheranno su una lunga automobile nera, lo scaraventeranno moribondo lungo la strada per Cassano Magnago e lo finiranno con due colpi d’arma da fuoco alla nuca. Proprio là dove ora sorge il cippo in sua memoria. I giornali riporteranno la notizia di uno sconosciuto ucciso da non si sa chi con due colpi d’arma da fuoco. Verrà sepolto frettolosamente ma la vedova otterrà la riesumazione del cadavere e lo riconoscerà.
A Mauro verrà conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.
«Non erano quattro matti, i fratelli Venegoni – puntualizza Dario - Era la loro generazione, semmai, che era una generazione di matti: nel senso di una generazione pronta praticamente a tutto per ribaltare un mondo che consideravano ingiusto e intollerabile. È quella generazione di matti che ha portato nel mondo del lavoro i diritti che ora vengono difesi con tanta determinazione».


Per approfondimenti 

giovedì 20 agosto 2015

Così maturò la scelta partigiana di Bollini

Polis: "Così maturò la scelta partigiana di Bollini"

TRATTO DA http://www.legnanonews.com/news/1/50810/polis_cosi_maturo_la_scelta_partigiana_di_bollini_

La testimonianza del 90enne Zeffiro che conobbe il giovane “ribelle per amore”, ucciso dai fascisti nel 1945 a Traffiume di Cannobio è stata così pubblicato sull'ultimo numero della rivista Polis

Zeffiro Zanchi ha compiuto 90 anni a dicembre scorso. Tecnico per tanti anni alla “Franco Tosi”, vi entra attraverso i corsi professionali; terzogenito e primo maschio di nove figli, tutti nati a Legnano. Ma la famiglia proviene da Nembro, paesino vicino a Bergamo, dove conserva ancora qualche lontano cugino. Insistendo un po’, racconta a Polis Legnano qualche episodio del periodo della guerra, nonché la sua esperienza di appoggio ai partigiani.
E poi parla della sua conoscenza di Giuseppe Bollini, legnanese, partigiano trucidato dai fascisti a 23 anni, all’inizio del 1945 (di recente il concittadino Giorgio Vecchio, storico dell’Università di Parma, ha dato alle stampe il libro Vita e morte di un partigiano cristiano. Giuseppe Bollini e i giovani dell’Azione cattolica nella Resistenza, editrice In Dialogo). Non mancano nelle parole di Zeffiro taluni episodi salienti di quel difficile periodo.
Ricorda come si è avvicinato all’esperienza partigiana? «Furono due le persone che mi permisero di entrare in contatto con i partigiani: una mia zia paterna e don Carlo Riva, coadiutore all’oratorio di San Domenico; a casa della prima passavo spesso all’uscita del lavoro, dove conobbi proprio Giuseppe Bollini, di un paio d’anni maggiore di me. In maniera molto discreta – tanto che solo dopo molti anni, ripensandoci, mi sono reso conto del suo ruolo di collegamento e di trasmissione di informazioni – la zia ci avvisava dei luoghi o delle occasioni nella quali vi sarebbero state incursioni fasciste e come evitare di trovarcisi. Si creavano inoltre occasioni nelle quali, sempre a casa sua, ci si incontrava con altri antifascisti, discutendo e scambiando opinioni».
E don Carlo? «Partecipavo, insieme ad altri adulti – io ero il più giovane – ad alcuni incontri di formazione politica presso la parrocchia; lo scopo era formarci perché potessimo essere pronti, una volta conclusa la guerra, a entrare a far parte degli organismi di governo della città. Relatore di questi incontri era Aldo Colombo, che divenne in seguito il primo presidente delle Acli di Legnano. Fu poi don Carlo a inviarmi, insieme a un altro adulto del gruppo, a ritirare le armi che erano nascoste in una ditta di Legnano, il cui proprietario era uno dei principali capi della resistenza legnanese. Ricordo quell’episodio con molta commozione, sia per la fiducia accordatami sia per il timore e la paura di vedere tutte quelle armi con le quali, ovviamente, non avevo alcuna dimestichezza».
Quali altri contatti aveva con i partigiani? «All’interno della Franco Tosi si organizzavano viaggi verso l’Ossola per portare indumenti e cibo a chi vi si era rifugiato. Partecipai più volte a questi viaggi; a casa riferivo che avrei avuto impegni di lavoro e dovevo recarmi fuori città con il mio capoufficio. A fornirci il materiale erano persone di Legnano, mentre i mezzi di trasporto, camioncini e macchine, venivano da alcuni imprenditori».
In famiglia dunque non sapevano del suo impegno? «In famiglia lavoravamo solo io e mia sorella, e, con il papà invalido, costituivamo il sostegno per tutti i nostri fratelli. Non potevo dunque permettermi di porli in condizioni di rischio. Poiché io disertavo i corsi settimanali premilitari, venne convocata mia madre dal responsabile del personale della Tosi per eventuali gravi sanzioni nei miei riguardi. Mi salvò la moglie di un gerarca fascista, in amicizia con mia madre, avvisandola del potenziale pericolo che avrei potuto correre».
Cosa poteva indurre un ragazzo giovane come lei a contrastare tedeschi e fascisti?«L’arroganza e la violenza non potevano essere accettate. Ricordo in proposito un episodio, che secondo me fu determinante per Giuseppe Bollini e la sua entrata nelle brigate partigiane. La domenica, all’uscita dalla messa di San Magno, accadde diverse volte che i fascisti sequestrassero alcune persone, perlopiù note per il loro antifascismo, per portarle dentro Palazzo Malinverni e sottoporle a pestaggi e olio di ricino. Giuseppe assistette a uno di questi episodi e ne fu profondamente colpito; ne parlammo proprio a casa della zia e lui mi riferì di non poter accettare queste cose. Poche settimane dopo, anche per sfuggire all’arruolamento, partiva per la Valgrande. E sarebbe diventato un martire della libertà».
Anna Pavan

Pubblicato mercoledì 19 agosto 2015 

sabato 4 luglio 2015

27 giugno 1944: I partigiani Dino Garavaglia e Renzo Vignati uccisi al ponte di San Bernardino

http://www.legnanonews.com/news/1/49718/il_ricordo_di_due_giovani_partigiani





27 giugno 1944
I partigiani Dino Garavaglia e Renzo Vignati uccisi al ponte di San Bernardino


La valorosa staffetta della 101^ e 182^ Brigata Garibaldi Piera Pattani il 20 agosto 2013 ha visto esaudito un suo grande desiderio: dare un nome a tre partigiani.
Già perché a Legnano c’erano tre vie dedicate a loro ma vi erano indicati solo i cognomi e non c’era nemmeno scritto sotto che si trattava di partigiani. Giustamente Piera in quell’occasione osservò: “E' da anni che desideravo che queste tre persone, morte giovanissime, venissero ricordate come si deve. Di Vignati, Garavaglia e Bottini, in città, ve ne sono tanti, ma loro erano unici, così come tutti coloro che hanno partecipato alla lotta di Resistenza. Quello era un movimento composto da molti giovani e ognuno di loro andrebbe ricordato. La Resistenza l’ha fatta il popolo, l’abbiamo fatta in tanti: noi partigiani, ma anche i preti e le suore, i farmacisti, i medici e non solo".
Piera, che nel 1943 aveva appena sedici anni, faceva parte della 101^ Brigata Garibaldi SAP (Squadra di Azione Patriottica) “Giovanni Novara” che era costituita da tutti quei partigiani che avevano mantenuto una vita familiare normale, il proprio posto di lavoro e la propria abitazione e che, in base alle proprie capacità e disponibilità di tempo, si adoperavano in vario modo per la Resistenza. 

SAP e GAP a Legnano
Le SAP erano in genere squadre piuttosto numerose. Il comandante generale della 101^ SAP è stato dapprincipio Bruno Feletti (Fontana), poi Giuseppe Marinoni (Costa-Negri) e dalla fine del 1944 Mario Cozzi (Pino) ma sotto di loro vi erano tutta una serie di comandanti, ciascuno con un gruppetto limitato di persone. A Legnano verso la fine del 1944 si raggiunsero per la SAP circa 700 tra uomini e donne  e la 101^ SAP venne pertanto divisa in due gruppi di circa 350 unità, creando la 182^ Brigata Garibaldi SAP “Mauro Venegoni” in cui venne inserita Piera, in qualità non solo di staffetta ma anche di stretta collaboratrice del nuovo comandante della 101^ e 182^ SAP, Mario Cozzi.
Tuttavia il grosso del gruppo si limitava a compiti facili: faceva per lo più attività di supporto alle formazioni partigiane di montagna e ai GAP (Gruppo di Azione Patriottica) di città con medicine, vestiario o cibo e azioni di piccolo sabotaggio, alterazione e distruzione dei cartelli stradali, spargimento di chiodi a tre punte sulle principali strade di collegamento e propaganda in fabbrica, con brevi comizi e distribuzione di volantini, e fuori dalla fabbrica, attaccando ai muri di sera o di notte manifesti antifascisti. A Legnano era Piera la responsabile della distribuzione della stampa clandestina nelle fabbriche, stampa che andava lei stessa a recuperare a Milano direttamente dalla stamperia in via XXII Marzo, ed aveva anche fondato un gruppo di giovani, tredici donne e tredici uomini, che di notte uscivano a coppie per non dare nell’occhio e tracciavano scritte o attaccavano manifesti clandestini sui muri.
Più spesso i sappisti semplicemente non agivano ma si tenevano pronti ad intervenire in caso di necessità a salvaguardia della fabbrica contro eventuali aggressioni, razzie o tentativi di distruzione ad opera dei nazifascisti: in fondo era principalmente con questo scopo che le SAP erano nate, come “Squadre di difesa operaia”. 
Ma per proteggere le fabbriche e gli operai erano necessarie le armi e pertanto in ogni SAP vi era una squadra di punta che agiva con metodi simili alle GAP e procurava le armi con disarmi (quasi sempre di repubblichini) o , più raramente, sequestri in fabbrica, o anche semplicemente acquistandole alla borsa nera da repubblichini consenzienti. Queste squadre di punta a Legnano si spingevano spesso anche in assalti a posti di blocco e scontri a fuoco con i fascisti allo scopo di tentare di eliminare fisicamente spie o brigatisti neri. Erano però pochi quelli che rischiavano così tanto. 

Dino Garavaglia e Renzo Vignati
Dino Garavaglia e Renzo Vignati furono tra i primi, fin dal marzo 1943, ad entrare nel gruppo di antifascisti agli ordini di Arno Covini e, dopo l’armistizio, confluirono con il Covini nella Resistenza legnanese a fianco dei fratelli Venegoni, nel gruppo di punta di stampo gappistico della 101^ Brigata Garibaldi SAP.
Di disarmi di repubblichini la 101^ SAP ne aveva già compiuti parecchi, ma non sempre le cose andavano per il verso giusto.

Quel 27 giugno 1944
Il 27 giugno 1944 nei pressi del ponte della ferrovia di San Bernardino l’azione sembrava potersi concludere a favore del gruppo di partigiani invece la pattuglia fascista era troppo consistente per le loro forze e nello scontro a fuoco rimasero feriti quattro partigiani. Due riuscirono a fuggire, mentre Dino e Renzo, feriti gravemente, furono catturati dai fascisti. Ricoverati all’ospedale di Legnano,morirono poche ore dopo. Dino aveva diciotto anni, Renzo diciannove.
Piera Pattani aveva saputo che i fascisti volevano portar via subito i cadaveri, di nascosto, ma il primario Piccioni, che era dalla parte dei partigiani, si era fermamente opposto: “No! Qui restano! Qui si fanno le esequie! Perché qui è casa mia!” 

Il funerale
Il giorno dei funerali, il 4 luglio, in un clima di forte tensione, i fascisti avevano permesso controvoglia le esequie pretendendo che però si svolgessero in forma del tutto privata. Invece c’era una gran folla con tante corone di fiori.
Don Francesco Cavallini (nella foto, ndr), assistente all’oratorio e coadiutore della chiesa dei SS. Martiri, la cui parrocchia all’epoca comprendeva tutto l’Oltrestazione, aveva fatto appena in tempo ad impartire la benedizione che i fascisti presero le bare e stavano per portarle via. Don Francesco si rifiutò: ”Questi ragazzi li ho battezzati in chiesa e in chiesa devono venire!” 
Francesco Crespi, allora 17enne partigiano della 101^ GAP, raccontò nell’intervista (riportata nel libro “Giorni di Guerra”) il seguito della vicenda: “Allora ci facciamo avanti in otto o dieci, prendiamo le bare e le portiamo in Chiesa. All’uscita vediamo che i fascisti hanno messo le mitragliatrici sul piazzale. Don Francesco si mette davanti, fa uscire le donne, poi tutti assieme andiamo al cimitero, guardati a vista dai fascisti. Questo fatto mi ha colpito molto, perché nessuno, ne’ il prete ne’ la popolazione che ha partecipato al funerale hanno avuto paura dei fascisti e delle loro mitragliatrici.”
Più tardi cercheranno di bloccare queste persone che si erano esposte e il Crespi, con altri quattro o cinque, sarà costretto a scappare dal cimitero saltando poi la ferrovia. 
Al funerale di Dino e Renzo aveva partecipato, nonostante il grave pericolo, anche Mauro Venegoni: era presente, venuto appositamente da Milano, camuffato e nascosto tra la gente, in via Gaeta, quella che costeggia sul lato occidentale la ferrovia e dove avrebbe transitato il corteo del funerale. Mauro era fermo presso la bilòria, cioè il ponte pedonale, che ora non esiste più, situato nelle immediate vicinanze della stazione ferroviaria, a proseguimento della viuzza che da piazza Monumento porta in stazione (via ora intitolata a Mauro Venegoni, così come il più noto tratto di via dell’Oltrestazione tra corso Italia e via Novara). Solo pochi partigiani, quelli che gli erano più intimi, lo hanno riconosciuto. Mauro ha rischiato la vita per onorare la morte dei due ragazzi! 
Don Francesco quel giorno l’ebbe vinta, ma una settimana dopo verrà arrestato dai brigatisti neri della Aldo Resega di Legnano e rinchiuso nel carcere di San Vittore a Milano, da dove uscirà solo il 25 aprile 1945.

Un riconoscimento doveroso
Su Legnanonews leggiamo che nel primo pomeriggio del 20 agosto 2013 «il sindaco Alberto Centinaio ha condotto la tenace e battagliera Piera ad ammirare le nuove insegne che, da oggi, grazie anche al suo appello, si chiameranno vie "Dino Garavaglia", "Renzo Vignati" e "Renzo Bottini" e non più semplicemente "Garavaglia", "Vignati" e "Bottini"».
Il desiderio di Piera è giustamente esaudito, perché Dino e Renzo …  "erano unici, così come tutti coloro che hanno partecipato alla lotta di Resistenza.


Per saperne di più:

. Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti e Alberto Centinaio, “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945”, Eo Ipso, 2009

La battaglia partigiana della 101^ GAP alla Mazzafame

http://www.legnanonews.com/news/1/49187/

21 giugno 1944 - La battaglia partigiana della 101^ GAP alla Mazzafame

Poco dopo le ore 19 dell’8 settembre 1943 venne annunciato via radio l’armistizio con gli angloamericani. L’indomani mattina i fratelli Mauro e Carlo Venegoni entrarono per l’ultima volta nel cortile della fabbrica metalmeccanica Franco Tosi e Carlo fece un brevissimo discorso agli operai, solo un paio di minuti per invitarli alla lotta, alla resistenza contro i fascisti che presto si sarebbero riorganizzati e contro i nazisti che avrebbero costituito una forza di occupazione.
Le origini della Resistenza a Legnano
I Venegoni avevano anni di antifascismo, di lotta e di confino alle spalle e attorno a loro già si era formato un gruppetto di antifascisti di Legnano e della zona. Dopo l’8 settembre, con il rientro a casa dei giovani militari riusciti a sfuggire alla cattura e alla deportazione negli Stalag ed Offlag di Germania e Polonia, il gruppo resistenziale che aveva come riferimento i fratelli Venegoni (Carlo, Mauro, Pierino e Guido) si è ulteriormente allargato: tra i primi partigiani della nostra città possiamo ricordare Piera Pattani, Anna Re, Angela Allogisi, Bruno Feletti (Fontana), Arno Covini, Spartaco Andrei, Dino Garavaglia, Renzo Vignati, Arturo Fusetti, Bruno Lonati (Valeri), Annibale Schiavo, Dino Loschi, Giovanni Brandazzi, Angelo Sant’Ambrogio (deportato dalla Tosi a Mauthausen e morto nel castello di Hartheim) e molti altri. Queste persone costituivano la 101^ Brigata Garibaldi SAP (Squadra di Azione Patriottica) “Giovanni Novara”, legata alle fabbriche di Legnano e dei paesi limitrofi.

Resistenza cattolica
A Legnano operava anche una formazione cattolica che aveva nella nostra città come punto di riferimento don Carlo Riva, coadiutore della parrocchia di San Domenico, ed elementi di spicco quali Anacleto Tenconi (futuro primo sindaco di Legnano libera), Alberto Tagliaferri e Neutralio Frascoli: prenderà il nome di “Brigata Carroccio” e farà parte della Divisione Alfredo Di Dio, particolarmente attiva in Val d’Ossola.
Resistenza cattolica e non cattolica non sono rimasti mondi a sé a Legnano ma hanno collaborato fin da subito. Anacleto Tenconi ricorda nel suo libro “Rapsodia in tono minore” il primo incontro. “Novembre 1943. Ricordo una lontana sera di quel periodo, una sera nebbiosa, oscura, in cui ci trovammo, io, il rag. Neutralio Frascoli, Guido Venegoni e Arturo Fusetti nei pressi della immagine religiosa (la cosidetta [sic] Madonna Mora) sita sulla casa Marinoni in angolo tra la via Lega e via Alberto da Giussano. … Fu così che incominciò il movimento clandestino a Legnano.”

Nasce la 101^ GAP
E fin da subito si formò a Legnano, con punto di riferimento la Cascina Mazzafame, anche un gruppo scelto di partigiani particolarmente audaci che vivevano in clandestinità e si occupavano delle azioni più pericolose: i Venegoni chiesero al ventenne Samuele Turconi (Sandro) di prenderne il comando. Nacque così la 101^ Brigata Garibaldi GAP (Gruppo di Azione Patriottica) “Giovanni Novara” di Mazzafame e Gorla Maggiore.

Essere gappista
Non era facile far parte di una GAP: ci voleva fedeltà, onestà, intelligenza, coraggio fuori dal normale e non tutti erano adatti. Anche nella prima GAP costituitasi a Milano ai primi di ottobre del 1943 su 30 o 40 militanti volontari vagliati solo 12 vennero scelti, nonostante la necessità di formare la squadra: chi per validi motivi familiari, chi per il timore di non saper resistere alle torture in caso di arresto, chi per una ripulsa a scatenare il terrore individuale, molti preferivano andare a combattere in montagna piuttosto che fare la guerriglia in città. Il partigiano in montagna, infatti, si sente più sicuro, combatte in formazioni più numerose, su un terreno più vasto, con maggiori possibilità di sganciamento. Non era così per i gappisti che vivevano e agivano in città, con vita clandestina, ritirata, costantemente controllata, sempre sottoposti a continua tensione nervosa, prima, durante e dopo le rischiosissime azioni. Spie e delatori non mancavano e il rischio di venire arrestati era all’ordine del giorno: un gappista arrestato era sicuro di venire sottoposto alla tortura.

Azioni militari dei gappisti a Legnano
Questi partigiani della 101^ GAP, una quindicina a Legnano e venti o trenta a Gorla, agivano in squadre ridotte quasi sempre di sole quattro unità, effettuando in tutta la Valle Olona e fino a Varese disarmi, deragliamenti di treni con mezzi meccanici (usavano delle specie di cunei realizzati nella fonderia Pensotti: solo da novembre 1944 ebbero a disposizione dell’esplosivo), sequestro di armi nelle fabbriche o di viveri per i partigiani di montagna (famoso a Legnano il sequestro di quattro, forse cinque, quintali di burro alla Centrale del Latte di via Montenevoso), attacchi armati di disturbo a caserme, posti di blocco, garitte del dazio, attentati con eliminazione fisica di spie o militari fascisti e nazisti (famoso l’attentato del 4 novembre ’44 all’Albergo Mantegazza, vicino alla stazione di Legnano), salvataggio, anche con fuga dagli ospedali, di civili (a rischio di deportazione) o partigiani feriti piantonati.
Dalle cronache delle Brigate Garibaldi risulta che questa era la formazione più audace, più attiva, più decisa, meglio armata e più efficace perlomeno di tutta la provincia di Milano e Valle Olona.
Vice-comandante della GAP era il ventunenne Giuseppe Rossato (Gelo) e ne facevano parte Irene Dormelletti di Gorla Maggiore e Francesca Mainini di Legnano, staffette di collegamento col CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Milano, specializzate Irene nel nascondere e scortare i partigiani e Francesca nel collaborare con Samuele Turconi per gli attentati dinamitardi.

21 giugno '44: Cascina Mazzafame
Proprio il gruppo di una quindicina di partigiani legnanesi della 101^ Brigata Garibaldi GAP la sera del 21 giugno 1944 venne circondato da 250-300 fascisti in assetto di guerra provenienti da Busto Arsizio, avvisati da una delazione riguardo alla presenza dei partigiani alla Cascina Mazzafame, dove ora si trova il maniero della Contrada La Flora.
Un problema costante dei partigiani era la fame e quella sera, contrariamente al loro solito, si erano fermati un poco di più alla Cascina, dove molti del gruppo, comandante compreso, avevano genitori e parenti: si erano fermati a mangiare qualcosa.
Erano arrivati alla Cascina verso le nove, le nove e mezza e attorno alle dieci, dieci e mezza si sono sentiti i primi spari: sono stati i fascisti a far fuoco per primi.
I contadini della Ponzella, intuendo la gravità della situazione, fecero in tempo a fuggire di casa allontanandosi il più possibile, ma alla Mazzafame rimasero anch’essi accerchiati, in quando i fascisti avevano circondato tutta la zona con un giro larghissimo che arrivava fino alla via Novara. Ricorda infatti il comandante della 101^ GAP Samuele Turconi “non furono solo i fascisti legnanesi ad attaccarci: ci attaccò la PAI (Polizia Africana Italiana), la Brigata Nera e la Decima MAS di Busto. Rastrellarono tutte le famiglie della Mazzafame e le radunarono vicino alla chiesa minacciandole di morte se non ci fossimo arresi”. Donne, bambini, vecchi contadini tra cui uno di 97 anni, buttati fuori dalle case anche in pigiama: tutti al muro, mentre i fascisti minacciavano di dar fuoco alla Cascina.
I partigiani erano solo una quindicina, armati di rivoltelle, mentre i 250-300 fascisti avevano i mitra. “Combattemmo strenuamente – continua Samuele - e quando alle undici di sera ci accorgemmo di essere stati circondati capimmo che per noi non c’era più nulla da fare. Decidemmo di non arrenderci comunque anche se le forze in campo erano decisamente a nostro sfavore e combattemmo furiosamente fino all’alba”.

Inizia il conflitto a fuoco
Lo scontro fu durissimo. Il comandante Samuele Turconi fu tra i primi ad essere ferito: poco prima di mezzanotte una sventagliata di mitra lo colpì ad una gamba. Venne ferito molto gravemente anche un altro partigiano, Nino Lepori di Fagnano Olona: una pallottola gli trapassò il torace e perforò un polmone.
Verso l’alba Samuele Turconi venne nuovamente ferito, un’altra sventagliata di mitra lo colpì all’altra gamba e non fu più in grado di muoversi. Le munizioni dei partigiani, per quanto centellinate, stavano per esaurirsi e i fascisti dalle minacce di ritorsioni verso la popolazione stavano passando ai fatti tentando di incendiare il fieno e la paglia in alto nei fienili. Samuele decise di arrendersi, cercando però prima di mettere in salvo i suoi uomini usando le ultime pallottole per creare un varco di copertura nello sbarramento di fuoco: una decina riuscirono a scappare, illesi, e tra essi il vice-comandante Giuseppe Rossato.

La cattura di Samuele Turconi
Samuele venne catturato insieme a Nino Lepori, più morti che vivi entrambi, e insieme a tre altri partigiani, Rizzi, Ugo Bragè, Antonio Casero, di cui uno venne ucciso durante il trasporto a Busto Arsizio e gli altri due inviati nei lager in Germania, da cui fecero ritorno.
Tra i fascisti vi furono due o tre morti e una dozzina di feriti. “Un fascista mi puntò il fucile alla testa –ricorda Samuele - e minacciò di uccidermi sul posto; poi invece mandarono mio fratello con degli amici che mi trasportarono sino in via Novara dove i fascisti avevano fatto base. Ormai mi venivano meno le forze ma feci in tempo a sentire che avevano preso il Rizzi Pietro, il Bragè, il Casero. Mi caricarono su un automezzo militare ormai quasi morto ed insieme ad altri ci condussero alla caserma dei carabinieri di Busto Arsizio. Fortunatamente incontrai un maresciallo dei carabinieri veramente coraggioso che si oppose con tutte le sue forze a rinchiudermi in quelle condizioni in cella. Per me sarebbe stata la fine. Ho sentito ‘sto maresciallo che ha detto “Portatelo via! Via! Subito! Che questo sta morendo! Che io non voglio i morti in questa caserma!!!” E poi lì non ho capito più niente… I fascisti furono così obbligati a condurmi nell’ospedale della città dove i medici mi salvarono la vita per un soffio”
In ospedale il Turconi, costantemente piantonato da tre militi, venne interrogato ripetutamente, torturato e minacciato: “per impressionarmi, sotto il letto mi misero una cassa da morto” confidò in seguito. Non parlò. Perciò il 13 luglio “Angelo Montagnoli e il Negrini mi portarono con sarcasmo la bella notizia che molto presto sarei stato fucilato”, in Piazza Santa Maria a Busto Arsizio, alle cinque di mattina dell’indomani.

Si prepara la fuga di Samuele
Per fortuna i medici stavano dalla parte dei partigiani ed avevano avvisato l’organizzazione dei Venegoni: la diciassettenne Piera Pattani, valorosa staffetta della 101^ SAP, si offrì di andare in avanscoperta.
Si presentò in ospedale verso le nove e mezza di sera del 13 luglio dichiarando di essere la fidanzata di Samuele e venne lasciata entrare nella sua camera. Piera gli si gettò al collo baciandolo e spingendogli in bocca un bussolotto di carta. Una delle guardie prese il fucile per la canna e col calcio le dette tre vergate sulla schiena così forti che Samuele credette l’avesse ammazzata, poi la presero per i capelli e trascinarono fuori in corridoio sbattendola contro il muro. Sul biglietto Samuele riuscì a leggere “tentiamo alle 10” “e alle dieci, dieci e dieci son arrivati. Con un’azione militare a cui partecipò tra gli altri anche Mauro Venegoni vennero e, immobilizzate le guardie, Guido Venegoni mi caricò sulla canna della bicicletta poiché le mie ferite non erano ancora rimarginate… Fui accompagnato a Legnano in via Novara nella casa della partigiana Alogisi Angela in Grassini dove poi fui curato dal dott. Tornadù, farmacista di via Novara. Rimasi da lei una decina di giorni e poi dovetti abbandonare il rifugio divenuto insicuro. Mi trasferirono allora a Prospiano anche se le mie condizioni non erano per niente buone.”

Samuele riprende la lotta
Una volta ristabilitosi, Samuele Turconi riprese il suo posto al comando della 101^ Brigata Garibaldi GAP “Giovanni Novara” di Mazzafame e Gorla Maggiore. E ricominciò a fare disarmi, deragliamenti, attentati e salvataggi, anche assalendo, insieme a tre compagni, con un commando armato le guardie che stavano piantonando un civile ferito e portandolo via, in salvo, dallo stesso ospedale di Busto Arsizio da dove era stato fatto fuggire lui stesso appena un mesetto prima.
Per una descrizione più dettagliata della vicenda, con ulteriori testimonianze dei protagonisti si rimanda all’articolo precedentemente pubblicato:

Piera Pattani e Samuele Turconi nel giugno 2008 presso la Cascina Mazzafame
in occasione dell'annuale commemorazione della Battaglia Partigiana
ricevono una targa di benemerenza dall'ANPI di Legnano
per la loro preziosa attività partigiana durante il periodo clandestino 1943-1945

Per saperne di più:
. Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti e Alberto Centinaio, “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945”, Eo Ipso, 2009
. Per conoscere meglio Samuele Turconi



lunedì 1 giugno 2015

Martedì 2 giugno, l'intitolazione di Largo Tenconi

Tratto da
http://www.legnanonews.com/news/1/48865/martedi_2_giugno_l_intitolazione_di_largo_tenconi

Martedì 2 giugno, l'intitolazione di Largo Tenconi



Legnano rende onore ad Anacleto Tenconi, che fu Sindaco della città nel 1945-1946 (nominato dal CLN) e dal 1951 al 1961. Alla sua memoria sarà infatti intitolato il piazzale situato tra piazza Carroccio e il lungo Olona, alle spalle degli ex uffici giudiziari.
La cerimonia si terrà martedì 2 giugno 2015, Festa della Repubblica, con inizio alle ore 11.30. Dopo un intervento del Sindaco Alberto Centinaio e del nipote Alberto Tenconi, si procederà allo scoprimento di una targa commemorativa e all’inaugurazione di una mostra fotografica. E’ prevista la partecipazione di Associarma, ANPI, Collegio dei capitani e Contrada di San Magno.
Sono numerosi i motivi per cui Legnano è riconoscente a Tenconi: oltre ad avere amministrato la città nei difficili anni della ricostruzione post-bellica, fu tra i fondatori della rievocazione storica della battaglia del 1176 e del Palio, nonché Gran Priore della Contrada di San Magno.
A lui si devono, tra l’altro, la completa elettrificazione dell’illuminazione pubblica, la realizzazione di opere urbanistiche, tra le quali viale Toselli, piazza Carroccio e la Galleria INA. Si impegnò inoltre per la realizzazione di scuole, tra cui la Bonvesin de la Riva, e la creazione dei Licei Classico e Scientifico.
Nato a Legnano nel 1904, si impegnò fin da giovane in attività sociali e politiche. Partecipò attivamente alla Resistenza tra le fila dei partigiani cattolici aggregandosi alla “Alfredo di Dio” e creando la brigata Carroccio di cui fu commissario politico. Il 25 aprile 1945, grazie ai meriti conseguiti nella lotta partigiana e alle sue competenze nella pubblica amministrazione, fu nominato Sindaco e incaricato di formare una Giunta in grado di far fronte ai problemi più urgente legati all’emergenza del momento. Nel 1951 tornò a ricoprire la carica di primo cittadino eletto nelle fila della DC alla guida di una coalizione di centro.
Lasciata la politica attiva non cessò di impegnarsi in vari ambiti lavorando incessantemente per il bene della città. Morì nel 1991.
Negli ultimi anni, come ricordano il figlio Camillo e il nipote Alberto, prima a sollecitare l'idea di dedicare una via o una piazza è stata la contrada San Magno. Successivamente, l'iniziativa è stata ripresa dalla Conferenza dei Capigruppo durante il periodo di Vitali sindaco, infine nel mese di marzo dal Circolo di Legnano del PD, con delibera finale nei giorni scorsi della Giunta Centinaio.
(Marco Tajè)



sabato 23 maggio 2015

Una piazzetta dedicata a Anacleto Tenconi

Tratto da
http://www.legnanonews.com/news/1/48690/una_piazzetta_dedicata_a_anacleto_tenconi

Una piazzetta dedicata a Anacleto Tenconi

Anacleto Tenconi, sindaco di Legnano per 12 anni e consigliere comunale per 4 decenni,avrà una piazzetta dedicata alla memoria. Lo ha deciso la Giunta Centinaio con una propria delibera.
"In occasione del Settantesimo anniversario della Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista, l’Amministrazione comunale - leggiamo nel documento -intende ricordare Anacleto Tenconi, politico indimenticabile per i molti cittadini protagonisti della vita legnanese di quegli anni, esempio per i giovani di oggi per le sue doti di umanità, onestà e correttezza, partigiano cattolico, esponente di spicco del Comitato di Liberazione Nazionale e delle formazioni partigiane, primo Sindaco di Legnano del periodo post Liberazione dal 1945 al 1946 e dal 1951 al 1961".
L'area individuata è quella che collega la Piazza Carroccio al Lungo Fiume Olona, alle spalle dell'ex Tribunale.
La proposta è partita dal segretario cittadino del Partito Democratico, Alberto Dell'Acqua, che nello scorso mese di marzo aveva diffuso un appello in cui il Partito Democratico di Legnano segnalava che "attraverso anche il proprio Forum Cultura PD, coordinato dall'amica Giuseppina Picco, ritiene opportuno riprendere una proposta lanciata alcuni anni fa in Consiglio Comunale dal Gruppo Consiliare dell'Ulivo e appoggiata dall'ANPI di Legnano per ricordare nella toponomastica cittadina Anacleto Tenconi, un legnanese indimenticabile per molti e un esempio per i giovani di oggi, proprio a 70 anni da quegli eventi".
"Dopo Tenconi - così rilancia invece sul suo blog Daniele Berti - diventa doveroso ricordare anche Eliseo Crespi, altro amministratore pubblico degli anni Cinquanta che ha lasciato in eredità al Comune di Legnano i suoi beni, la cui entità verrà conosciuta a breve".

Pubblicato venerdì 22 maggio 2015