21 giugno 1944 - La battaglia partigiana della 101^ GAP alla Mazzafame
Poco dopo le ore 19 dell’8 settembre 1943 venne annunciato via radio l’armistizio con gli angloamericani. L’indomani mattina i fratelli Mauro e Carlo Venegoni entrarono per l’ultima volta nel cortile della fabbrica metalmeccanica Franco Tosi e Carlo fece un brevissimo discorso agli operai, solo un paio di minuti per invitarli alla lotta, alla resistenza contro i fascisti che presto si sarebbero riorganizzati e contro i nazisti che avrebbero costituito una forza di occupazione.
Le origini della Resistenza a Legnano
I Venegoni avevano anni di antifascismo, di lotta e di confino alle spalle e attorno a loro già si era formato un gruppetto di antifascisti di Legnano e della zona. Dopo l’8 settembre, con il rientro a casa dei giovani militari riusciti a sfuggire alla cattura e alla deportazione negli Stalag ed Offlag di Germania e Polonia, il gruppo resistenziale che aveva come riferimento i fratelli Venegoni (Carlo, Mauro, Pierino e Guido) si è ulteriormente allargato: tra i primi partigiani della nostra città possiamo ricordare Piera Pattani, Anna Re, Angela Allogisi, Bruno Feletti (Fontana), Arno Covini, Spartaco Andrei, Dino Garavaglia, Renzo Vignati, Arturo Fusetti, Bruno Lonati (Valeri), Annibale Schiavo, Dino Loschi, Giovanni Brandazzi, Angelo Sant’Ambrogio (deportato dalla Tosi a Mauthausen e morto nel castello di Hartheim) e molti altri. Queste persone costituivano la 101^ Brigata Garibaldi SAP (Squadra di Azione Patriottica) “Giovanni Novara”, legata alle fabbriche di Legnano e dei paesi limitrofi.
Resistenza cattolica
A Legnano operava anche una formazione cattolica che aveva nella nostra città come punto di riferimento don Carlo Riva, coadiutore della parrocchia di San Domenico, ed elementi di spicco quali Anacleto Tenconi (futuro primo sindaco di Legnano libera), Alberto Tagliaferri e Neutralio Frascoli: prenderà il nome di “Brigata Carroccio” e farà parte della Divisione Alfredo Di Dio, particolarmente attiva in Val d’Ossola.
Resistenza cattolica e non cattolica non sono rimasti mondi a sé a Legnano ma hanno collaborato fin da subito. Anacleto Tenconi ricorda nel suo libro “Rapsodia in tono minore” il primo incontro. “Novembre 1943. Ricordo una lontana sera di quel periodo, una sera nebbiosa, oscura, in cui ci trovammo, io, il rag. Neutralio Frascoli, Guido Venegoni e Arturo Fusetti nei pressi della immagine religiosa (la cosidetta [sic] Madonna Mora) sita sulla casa Marinoni in angolo tra la via Lega e via Alberto da Giussano. … Fu così che incominciò il movimento clandestino a Legnano.”
Nasce la 101^ GAP
E fin da subito si formò a Legnano, con punto di riferimento la Cascina Mazzafame, anche un gruppo scelto di partigiani particolarmente audaci che vivevano in clandestinità e si occupavano delle azioni più pericolose: i Venegoni chiesero al ventenne Samuele Turconi (Sandro) di prenderne il comando. Nacque così la 101^ Brigata Garibaldi GAP (Gruppo di Azione Patriottica) “Giovanni Novara” di Mazzafame e Gorla Maggiore.
Essere gappista
Non era facile far parte di una GAP: ci voleva fedeltà, onestà, intelligenza, coraggio fuori dal normale e non tutti erano adatti. Anche nella prima GAP costituitasi a Milano ai primi di ottobre del 1943 su 30 o 40 militanti volontari vagliati solo 12 vennero scelti, nonostante la necessità di formare la squadra: chi per validi motivi familiari, chi per il timore di non saper resistere alle torture in caso di arresto, chi per una ripulsa a scatenare il terrore individuale, molti preferivano andare a combattere in montagna piuttosto che fare la guerriglia in città. Il partigiano in montagna, infatti, si sente più sicuro, combatte in formazioni più numerose, su un terreno più vasto, con maggiori possibilità di sganciamento. Non era così per i gappisti che vivevano e agivano in città, con vita clandestina, ritirata, costantemente controllata, sempre sottoposti a continua tensione nervosa, prima, durante e dopo le rischiosissime azioni. Spie e delatori non mancavano e il rischio di venire arrestati era all’ordine del giorno: un gappista arrestato era sicuro di venire sottoposto alla tortura.
Azioni militari dei gappisti a Legnano
Questi partigiani della 101^ GAP, una quindicina a Legnano e venti o trenta a Gorla, agivano in squadre ridotte quasi sempre di sole quattro unità, effettuando in tutta la Valle Olona e fino a Varese disarmi, deragliamenti di treni con mezzi meccanici (usavano delle specie di cunei realizzati nella fonderia Pensotti: solo da novembre 1944 ebbero a disposizione dell’esplosivo), sequestro di armi nelle fabbriche o di viveri per i partigiani di montagna (famoso a Legnano il sequestro di quattro, forse cinque, quintali di burro alla Centrale del Latte di via Montenevoso), attacchi armati di disturbo a caserme, posti di blocco, garitte del dazio, attentati con eliminazione fisica di spie o militari fascisti e nazisti (famoso l’attentato del 4 novembre ’44 all’Albergo Mantegazza, vicino alla stazione di Legnano), salvataggio, anche con fuga dagli ospedali, di civili (a rischio di deportazione) o partigiani feriti piantonati.
Dalle cronache delle Brigate Garibaldi risulta che questa era la formazione più audace, più attiva, più decisa, meglio armata e più efficace perlomeno di tutta la provincia di Milano e Valle Olona.
Vice-comandante della GAP era il ventunenne Giuseppe Rossato (Gelo) e ne facevano parte Irene Dormelletti di Gorla Maggiore e Francesca Mainini di Legnano, staffette di collegamento col CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Milano, specializzate Irene nel nascondere e scortare i partigiani e Francesca nel collaborare con Samuele Turconi per gli attentati dinamitardi.
21 giugno '44: Cascina Mazzafame
Proprio il gruppo di una quindicina di partigiani legnanesi della 101^ Brigata Garibaldi GAP la sera del 21 giugno 1944 venne circondato da 250-300 fascisti in assetto di guerra provenienti da Busto Arsizio, avvisati da una delazione riguardo alla presenza dei partigiani alla Cascina Mazzafame, dove ora si trova il maniero della Contrada La Flora.
Un problema costante dei partigiani era la fame e quella sera, contrariamente al loro solito, si erano fermati un poco di più alla Cascina, dove molti del gruppo, comandante compreso, avevano genitori e parenti: si erano fermati a mangiare qualcosa.
Erano arrivati alla Cascina verso le nove, le nove e mezza e attorno alle dieci, dieci e mezza si sono sentiti i primi spari: sono stati i fascisti a far fuoco per primi.
I contadini della Ponzella, intuendo la gravità della situazione, fecero in tempo a fuggire di casa allontanandosi il più possibile, ma alla Mazzafame rimasero anch’essi accerchiati, in quando i fascisti avevano circondato tutta la zona con un giro larghissimo che arrivava fino alla via Novara. Ricorda infatti il comandante della 101^ GAP Samuele Turconi “non furono solo i fascisti legnanesi ad attaccarci: ci attaccò la PAI (Polizia Africana Italiana), la Brigata Nera e la Decima MAS di Busto. Rastrellarono tutte le famiglie della Mazzafame e le radunarono vicino alla chiesa minacciandole di morte se non ci fossimo arresi”. Donne, bambini, vecchi contadini tra cui uno di 97 anni, buttati fuori dalle case anche in pigiama: tutti al muro, mentre i fascisti minacciavano di dar fuoco alla Cascina.
I partigiani erano solo una quindicina, armati di rivoltelle, mentre i 250-300 fascisti avevano i mitra. “Combattemmo strenuamente – continua Samuele - e quando alle undici di sera ci accorgemmo di essere stati circondati capimmo che per noi non c’era più nulla da fare. Decidemmo di non arrenderci comunque anche se le forze in campo erano decisamente a nostro sfavore e combattemmo furiosamente fino all’alba”.
Inizia il conflitto a fuoco
Lo scontro fu durissimo. Il comandante Samuele Turconi fu tra i primi ad essere ferito: poco prima di mezzanotte una sventagliata di mitra lo colpì ad una gamba. Venne ferito molto gravemente anche un altro partigiano, Nino Lepori di Fagnano Olona: una pallottola gli trapassò il torace e perforò un polmone.
Verso l’alba Samuele Turconi venne nuovamente ferito, un’altra sventagliata di mitra lo colpì all’altra gamba e non fu più in grado di muoversi. Le munizioni dei partigiani, per quanto centellinate, stavano per esaurirsi e i fascisti dalle minacce di ritorsioni verso la popolazione stavano passando ai fatti tentando di incendiare il fieno e la paglia in alto nei fienili. Samuele decise di arrendersi, cercando però prima di mettere in salvo i suoi uomini usando le ultime pallottole per creare un varco di copertura nello sbarramento di fuoco: una decina riuscirono a scappare, illesi, e tra essi il vice-comandante Giuseppe Rossato.
La cattura di Samuele Turconi
Samuele venne catturato insieme a Nino Lepori, più morti che vivi entrambi, e insieme a tre altri partigiani, Rizzi, Ugo Bragè, Antonio Casero, di cui uno venne ucciso durante il trasporto a Busto Arsizio e gli altri due inviati nei lager in Germania, da cui fecero ritorno.
Tra i fascisti vi furono due o tre morti e una dozzina di feriti. “Un fascista mi puntò il fucile alla testa –ricorda Samuele - e minacciò di uccidermi sul posto; poi invece mandarono mio fratello con degli amici che mi trasportarono sino in via Novara dove i fascisti avevano fatto base. Ormai mi venivano meno le forze ma feci in tempo a sentire che avevano preso il Rizzi Pietro, il Bragè, il Casero. Mi caricarono su un automezzo militare ormai quasi morto ed insieme ad altri ci condussero alla caserma dei carabinieri di Busto Arsizio. Fortunatamente incontrai un maresciallo dei carabinieri veramente coraggioso che si oppose con tutte le sue forze a rinchiudermi in quelle condizioni in cella. Per me sarebbe stata la fine. Ho sentito ‘sto maresciallo che ha detto “Portatelo via! Via! Subito! Che questo sta morendo! Che io non voglio i morti in questa caserma!!!” E poi lì non ho capito più niente… I fascisti furono così obbligati a condurmi nell’ospedale della città dove i medici mi salvarono la vita per un soffio”
In ospedale il Turconi, costantemente piantonato da tre militi, venne interrogato ripetutamente, torturato e minacciato: “per impressionarmi, sotto il letto mi misero una cassa da morto” confidò in seguito. Non parlò. Perciò il 13 luglio “Angelo Montagnoli e il Negrini mi portarono con sarcasmo la bella notizia che molto presto sarei stato fucilato”, in Piazza Santa Maria a Busto Arsizio, alle cinque di mattina dell’indomani.
Si prepara la fuga di Samuele
Per fortuna i medici stavano dalla parte dei partigiani ed avevano avvisato l’organizzazione dei Venegoni: la diciassettenne Piera Pattani, valorosa staffetta della 101^ SAP, si offrì di andare in avanscoperta.
Si presentò in ospedale verso le nove e mezza di sera del 13 luglio dichiarando di essere la fidanzata di Samuele e venne lasciata entrare nella sua camera. Piera gli si gettò al collo baciandolo e spingendogli in bocca un bussolotto di carta. Una delle guardie prese il fucile per la canna e col calcio le dette tre vergate sulla schiena così forti che Samuele credette l’avesse ammazzata, poi la presero per i capelli e trascinarono fuori in corridoio sbattendola contro il muro. Sul biglietto Samuele riuscì a leggere “tentiamo alle 10” “e alle dieci, dieci e dieci son arrivati. Con un’azione militare a cui partecipò tra gli altri anche Mauro Venegoni vennero e, immobilizzate le guardie, Guido Venegoni mi caricò sulla canna della bicicletta poiché le mie ferite non erano ancora rimarginate… Fui accompagnato a Legnano in via Novara nella casa della partigiana Alogisi Angela in Grassini dove poi fui curato dal dott. Tornadù, farmacista di via Novara. Rimasi da lei una decina di giorni e poi dovetti abbandonare il rifugio divenuto insicuro. Mi trasferirono allora a Prospiano anche se le mie condizioni non erano per niente buone.”
Samuele riprende la lotta
Una volta ristabilitosi, Samuele Turconi riprese il suo posto al comando della 101^ Brigata Garibaldi GAP “Giovanni Novara” di Mazzafame e Gorla Maggiore. E ricominciò a fare disarmi, deragliamenti, attentati e salvataggi, anche assalendo, insieme a tre compagni, con un commando armato le guardie che stavano piantonando un civile ferito e portandolo via, in salvo, dallo stesso ospedale di Busto Arsizio da dove era stato fatto fuggire lui stesso appena un mesetto prima.
Per una descrizione più dettagliata della vicenda, con ulteriori testimonianze dei protagonisti si rimanda all’articolo precedentemente pubblicato:
Per saperne di più:
. Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti e Alberto Centinaio, “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945”, Eo Ipso, 2009
. Per conoscere meglio Samuele Turconi
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