domenica 10 maggio 2015

Il cippo in memoria del dott. Ezio Tornadù, di don Francesco Cavallini e di don Carlo Riva, esponenti della Resistenza legnanese.

25 aprile 2014, Cimitero Monumentale di Legnano, Campo dei Partigiani: scoperto un cippo in memoria del dott. Ezio Tornadù, di don Francesco Cavallini e di don Carlo Riva, esponenti della Resistenza legnanese.


Da sinistra il partigiano della Carroccio Achille Carnevali, il presidente ANPI Legnano Luigi Botta, il sindaco di Legnano Alberto Centinaio e la partigiana della 182^ Brigata Garibaldi SAP Piera Pattani

tratto da
http://www.legnanonews.com/news/1/37475/25_aprile_legnanesi_in_guerra_partigiani_fascisti_resistenti

DOTT. EZIO TORNADU’
La Farmacia della Stazione, in via Liberazione 2, iniziò la sua attività nel 1905 e attorno agli anni ’30 il dott. Ezio Tornadù ne divenne titolare.
Spesso il dottore si faceva aiutare a confezionare i famosi “cachet” dai ragazzi del vicino cortile Nava, ora scomparso per far posto al sottopasso e di cui rimangono solo una parte delle abitazioni, con le caratteristiche ringhiere, sul lato vicino alla stazione.
All’armistizio dell’8 settembre 1943 ed il conseguente inizio della Resistenza il dott. Tornadù non ebbe dubbi sulla parte da cui stare.
Anacleto Tenconi (il primo sindaco di Legnano liberata) nel suo “Rapsodia in tono minore” ricorda il primo incontro ufficiale tra la Resistenza legnanese di orientamento cattolico, rappresentata in quell’occasione dallo stesso Tenconi e da Neutralio Frascoli, e quella di orientamento comunista, rappresentata dall’Organizzazione dei fratelli Venegoni ed in particolare quella sera da Guido Venegoni e Arturo Fusetti. La Resistenza a Legnano operò fin d’allora in modo collaborativo ed il dott. Tornadù fornì aiuti materiali, bende, medicinali, unguenti, cicatrizzanti, disinfettanti per i partigiani di città e per quelli di montagna, tramite staffette che portavano il materiale medico al ponte di Marnate, all’imbocco della Valle Olona, dove si faceva trovare qualche partigiano delle formazioni di montagna, con una mezza lira di carta che doveva combaciare con la mezza lira in possesso della staffetta, come riconoscimento.
Talvolta al ponte di Marnate scendeva qualche partigiano malato, la staffetta volava in bicicletta alla Farmacia della Stazione, spiegava i sintomi al dott. Tornadù e tornava dal partigiano con i medicinali adatti.
Ma il dott. Ezio Tornadù non si limitava a questo: andava lui stesso nelle case in cui venivano ricoverati i partigiani malati o feriti per curarli.
Un episodio rimasto nella memoria storica di Legnano è legato a Samuele Turconi, nome di battaglia “Sandro”, comandante della 101^ Brigata Garibaldi “Giovanni Novara” GAP della Mazzafame, ferito molto gravemente durante lo scontro avvenuto il 21 giugno 1944 alla Cascina Mazzafame, quando, in seguito ad una delazione, 250-300 fascisti da Busto Arsizio piombarono su una quindicina di partigiani ivi radunati. Samuele Turconi venne ferito due volte, catturato, portato all’ospedale di Busto ed operato d’urgenza. Verso l’8-10 luglio Angelo Montagnoli, capo delle Brigate Nere di Legnano, gli preannunciò la fucilazione in piazza per l’indomani mattina ma con un’azione da commando armato quattro partigiani, tra cui Guido e Mauro Venegoni, riuscirono alle dieci di sera a portarlo in salvo presso la casa della staffetta Angela Allogisi in Grassini, in via Novara a Legnano. Pochi minuti più tardi il dott. Tornadù si presentò a casa dell’Allogisi per prestare le prime cure a Samuele Turconi che si stava dissanguando in quanto le ferite e i tagli dell’operazione non erano minimamente rimarginati. Il dott. Tornadù finì di medicarlo alle due di notte ma attese l’alba per evitare di incappare nelle pattuglie che cercavano il Turconi in tutta Legnano. Per i successivi dieci giorni, finchè il Turconi non dovette essere spostato altrove, il dott. Ezio Tornadù si presentò per le medicazioni tutti i pomeriggi, con grande rischio per la sua incolumità. Nel migliore dei casi era la deportazione in un lager, più spesso l’interrogatorio, la tortura e la fucilazione.
Fino al 1973 il dott. Tornadù rimase titolare della Farmacia, poi ne cedette la titolarità al cognato, dott. Felice Vitali, che nel 1987 la passò al figlio dott. Lorenzo Vitali, ex sindaco di Legnano.

DON FRANCESCO CAVALLINI
Don Francesco Cavallini dal 1° settembre 1926 era assistente dell’oratorio e coadiutore nella Parrocchia dei SS. Martiri, che allora comprendeva tutto l’Oltrestazione.
Il 27 giugno 1944 Renzo Vignati (19 anni) e Dino Garavaglia (18 anni), entrambi partigiani della 101^ Brigata Garibaldi “Giovanni Novara” SAP, vennero mortalmente feriti durante un tentativo di disarmo cui seguì uno scontro con preponderanti forze fasciste al ponte di San Bernardino. I due partigiani vennero ricoverati all’Ospedale di Legnano ma non sopravvissero. Il 4 luglio le Autorità diedero, controvoglia, l’autorizzazione a funerali privati. Si presentò invece una gran folla con numerose corone di fiori. Don Cavallini fece appena in tempo a benedire le bare che i fascisti le presero per portarle via.
Francesco Crespi, allora 17enne partigiano della 101^ GAP, raccontò nell’intervista, riportata nel libro “Giorni di Guerra” (di Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti e Alberto Centinaio), come andarono le cose: «arriva il prete (don Francesco Cavallini) e dà la benedizione ai morti; poi arrivano i fascisti, prendono le casse e fanno per portarle via. Don Francesco li ferma e dice: “questi ragazzi li ho battezzati in Chiesa e in Chiesa devono venire”. Allora ci facciamo avanti in otto o dieci, prendiamo le bare e le portiamo in Chiesa. All’uscita vediamo che i fascisti hanno messo le mitragliatrici sul piazzale. Don Francesco si mette davanti, fa uscire le donne, poi tutti assieme andiamo al cimitero, guardati a vista dai fascisti. Questo fatto mi ha colpito molto, perché nessuno, ne’ il prete ne’ la popolazione che ha partecipato al funerale hanno avuto paura dei fascisti e delle loro mitragliatrici.»
Arrivati al cimitero, terminate le esequie, Francesco Crespi e gli altri che avevano portato le bare dovettero fuggire saltando il muro di cinta, inseguiti dai fascisti. Don Francesco Cavallini invece poté tornare indisturbato alla canonica. Per quel giorno l’aveva avuta vinta lui.
Ma una settimana dopo i brigatisti neri della Aldo Resega arrestarono don Francesco e lo rinchiusero nel carcere di San Vittore a Milano. Venne liberato solo il 25 aprile 1945.
Rimarrà in Parrocchia sino al 19 settembre 1948, quando prenderà possesso della Prevostura di S. Stefano in Segrate.

DON CARLO RIVA
“Nella mia parrocchia l’Azione cattolica era davvero di casa. Almeno la Giac – ovvero i Giovani – aveva una tradizione pluridecennale ed era stata per anni sotto le cure dell’assistente don Carlo Riva, un prete fegatoso che aveva davvero fatto la Resistenza, non disdegnando (così mi hanno raccontato testimoni oculari) di farsi vedere in giro, nei giorni dell’aprile ’45, con un mitra a tracolla. Del resto era stato membro importante del CLN legnanese e aveva concesso il soffitto della cappella dell’oratorio per nascondervi armi e munizioni” scrive Giorgio Vecchio nel libro a carattere autobiografico “Quelle sere in via sant’Antonio”.
Don Carlo era nato il 10 maggio 1914 a S. Maria Hoè, un paese della zona montuosa della Brianza. Ordinato sacerdote a 23 anni, dal 22 maggio 1937 don Carlo divenne il coadiutore nella Parrocchia legnanese di San Domenico. La sua missione era rivolta principalmente ai giovani, che invitava con entusiasmo a “vincere quel nervosismo che ci prende talvolta facendoci dimenticare anche i nostri doveri spirituali” e li esortava “a pregare molto”. Don Carlo seguiva l’Azione Cattolica, in tre anni il numero di iscritti alla GIAC era più che raddoppiato ma egli non era soddisfatto dello stato dell’associazione, stato che, in uno scritto del 4 marzo 1941, giudica “abbastanza deplorevole in confronto a qualche anno fa, sia per l’attività materiale, e più per l’assenza o quasi di vita spirituale nei singoli soci”.
Dopo lo scoppio della guerra don Carlo Riva esorta i suoi ragazzi a pregare “affinché la pace ridivenga stabile fra le nazioni”. Dopo l’8 settembre 1943 si trova ad assumere un ruolo di eccezionale delicatezza e rilevanza non solo per la Parrocchia di San Domenico ma per tutto l’Altomilanese, per la sua scelta di antifascismo e di Resistenza. Si tratta di una Resistenza di impronta cattolica, che ripudia gesti di violenza gratuita, tende più che altro a salvare, a nascondere e far fuggire verso le formazioni di partigiani di montagna o la Svizzera ebrei, renitenti alla leva o antifascisti in pericolo. Le attività in pianura si limitano a raccogliere armi, viveri, vestiario per i partigiani di montagna, per le formazioni cattoliche del Raggruppamento Divisioni Patrioti “Alfredo Di Dio”, attivo nell’Ossola e nelle valli circostanti. Per queste attività don Carlo collabora anche con le formazioni partigiane legnanesi di impronta comunista, la 101^ Brigata Garibaldi “Giovanni Novara” e dalla fine del 1944 la 182^ Brigata Garibaldi “Mauro Venegoni”, formatasi per scorporo della 101^ troppo numerosa. In particolare ebbe rapporti diretti con Giovanni Brandazzi, plenipotenziario del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) per la nostra zona.
Molti ricordano don Carlo in quegli anni come consigliere dei giovani, sollecitatore di vocazioni partigiane, punto di raccolta e smistamento di informazioni, di segreti militari, di documenti e persino di armi, che venivano nascoste nell’oratorio di San Domenico, in via Cavour 6, nel sottotetto della cappella a cui si accedeva con una certa difficoltà dal sottotetto dell’attiguo salone del cinema e teatro.
Don Carlo faceva anche politica, fino a rappresentare la neonata DC (Democrazia Cristiana) nel CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Legnano, prendendo contatto con i capi partigiani della zona come Alberto Tagliaferri e Bruno Meraviglia (Tenente Angelo). È in casa di don Carlo che ha avuto luogo l’incontro decisivo per la costituzione della Brigata “Carroccio” con la partecipazione di Anacleto Tenconi (Pacelli), Neutralio Frascoli (Temistocle), Elio Strobino (Sigma), Giovanni Parolo (Santamaria).
Don Carlo sosteneva anche la stampa clandestina, “La Martinella”, diretta da Anacleto Tenconi, stampata clandestinamente presso la parrocchia di Pogliano Milanese e distribuita grazie ad una rete di staffette in bicicletta. Aveva l’incarico di commissario e di cappellano della Brigata Carroccio.
Tutte queste attività attirarono l’attenzione dei fascisti, i quali tuttavia non riuscirono mai ad avere le prove per arrestarlo per più di qualche ora. Anche l’8 novembre 1944, in seguito all’attentato esplosivo all’Albergo Mantegazza, portato a termine da Samuele Turconi (detto “Sandro”, comandante della 101^ Brigata Garibaldi GAP) e Giuseppe Marinoni (detto ”Costa-Negri”, comandante della 101^ SAP), don Carlo venne fermato, portato alla sede della Polizia fascista al “Circul di sciuri” in via Alberto da Giussano (dove adesso c’è il bingo) ma venne semplicemente interrogato, senza subire le percosse e le torture a cui erano destinati i partigiani nelle cantine a cui si accedeva da una botola, e venne quasi subito rilasciato. In altre situazioni, tuttavia, don Carlo crederà più opportuno allontanarsi per qualche giorno da Legnano e vivere alla macchia con i suoi uomini.
Nel “Liber chronicus” della Parrocchia di Pogliano Milanese nel gennaio del 1945 si cita don Carlo, in occasione della fuga da Legnano di Guido Palmieri (Nino), delle formazioni partigiane cattoliche, ormai scoperto e a forte rischio di arresto. Il Palmieri viene nascosto presso la Cascina Impero dai signori Goegan, agricoltori ed affittuari. «Il 22 febbraio il giovane veniva rilevato in automobile da Don Carlo Riva di S. Domenico di Legnano - anima del movimento partigiano di Legnano - e passato alle formazioni partigiane della Valle del Toce della Democrazia Cristiana».
Intanto don Carlo e altri preti, come don Ettore Passamonti di Legnanello,tra cui lo stesso mons. Virgilio Cappelletti, pensano al futuro e organizzano incontri più o meno clandestini, spesso camuffati da ritiri spirituali, per discutere dei radiomessaggi di Pio XII sulla dottrina sociale della Chiesa e sulla democrazia: ci si ritrova in casa dello stesso prevosto di San Magno, oppure presso i frati di Cerro Maggiore, o ancora all’asilo De Angeli Frua in via Venezia a Legnano.
Il 27 aprile 1945 in una sala del Palazzo Italia (ex Littorio, all’angolo tra la via Gilardelli e la via Matteotti, di fronte al Municipio) le forze partigiane si uniscono: nasce a Legnano la “Divisione Mauri”, formata dalle due Brigate Garibaldi 101^ e 182^, rappresentate dal loro comandante Mario Cozzi (Pino), e dalla Brigata del Popolo “Carroccio”, rappresentata dal don Carlo Riva. Potete trovare tutti i particolari nella testimonianza di Mario Cozzi in “Due inverni un’estate e la rossa primavera. Le Brigate Garibaldi a Milano e provincia 1943-1945” di Luigi Borgomaneri, a pagg. 382-384 dell’edizione 1985.
Nell’immediato dopoguerra don Carlo si diede da fare per attirare maggiormente i giovani verso l’Azione Cattolica e la Democrazia Cristiana e organizzò un campeggio estivo per giovani, recuperando materiale lasciato dagli americani, una tradizione che continuò poi negli anni.
Nel 1962 don Carlo Riva lasciò Legnano per diventare Parroco a Bareggio. Morì nel 1990.

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